Editoriale di Alessandro Zuccari, 2018



Storia dell’arte  – Nuova Serie – 1 |2018

Editoriale di Alessandro Zuccari

“Storia dell’arte” sta per compiere cinquant’anni. È un bel traguardo se si considera l’alto profilo che la rivista ha sempre mantenuto, nonostante le difficoltà economiche e di gestione che gravano sulle pubblicazioni scientifiche. La proposta di creare un nuovo periodico di storia dell’arte partì da Maurizio Calvesi, che nel 1969 trovò ne La Nuova Italia un degno editore e chiese a Giulio Carlo Argan di esserne il fondatore e di assumerne la direzione (cfr. Editoriale del n. 142, 2015). Nel 1992, con la scomparsa di Argan, la direzione passò allo stesso Calvesi e a Oreste Ferrari, che sin dall’inizio ne erano stati i redattori (affiancati da Luigi Salerno e poi da Angiola Maria Romanini). Sotto la loro guida, sempre attenta a garantire la prospettiva internazionale della rivista e il rigore metodologico dei contributi, le pubblicazioni sono proseguite fino al 2000, con l’uscita del numero 100. Ma proprio in quel momento, in seguito alla crisi de La Nuova Italia e al conseguente passaggio di proprietà, “Storia dell’arte” ebbe una battuta d’arresto, subendo un anno di interruzione. Per evitarne la chiusura, Maurizio Calvesi e Augusta Monferini costituirono la CAM Editrice, che ne rilevò la testata, e assicurarono dal 2002 la ripresa quadrimestrale delle pubblicazioni.

Ed è questa l’occasione per esprimere a Maurizio e ad Augusta, a nome degli amici, degli  allievi e di tutta la comunità scientifica, la profonda gratitudine per aver intrapreso questa coraggiosa operazione culturale, assumendosene tutti gli oneri. È loro il merito di aver investito la loro sapienza e le loro energie per «riprendere il cammino brevemente interrotto […] nella consapevolezza che ogni sforzo andasse compiuto per mantenere in vita una delle più prestigiose riviste italiane in questa materia», così da rinnovarne il percorso «fedele alla propria storia e alle proprie origini» (Editoriale del n. 101, 2002).

Accingendomi oggi a raccogliere questa preziosa eredità, desidero porre in luce alcuni aspetti salienti che hanno caratterizzato la storia e il ruolo della nostra rivista, prerogative che ben rispecchiano gli ampi orizzonti culturali dei suoi fondatori e dei numerosi studiosi italiani e stranieri che hanno affidato alle sue pagine i propri importanti contribuiti. Sono questi i principi su cui si intende proseguire “Storia dell’arte” nei prossimi anni, sul solco di una illustre tradizione inclusiva ed aperta a diversi approcci metodologici, la cui varietà costituisce una ricchezza: non solo le indagini attributive e classificatorie delle singole opere d’arte, ma anche l’analisi dei significati in un orizzonte iconografico e iconologico, delle relazioni con il contesto letterario, filosofico o scientifico delle varie epoche, dei rapporti con la committenza laica e religiosa, della formazione e vicende delle collezioni, dello studio dell’antico, della storia delle teorie e della critica d’arte, etc., con una costante attenzione alle fonti, sia quelle documentarie (di continuo sono offerte le acquisizioni di rilevanti ricerche d’archivio), sia quelle appartenenti alla Kunstliteratur, riferimento indispensabile anche per definire la storia del gusto e della ricezione di un determinato momento.

 “Storia dell’arte“, dunque, volgendosi a un arco cronologico che va dal moderno al contemporaneo (senza escludere incursioni sul Medioevo), privilegia un taglio storiografico di ampio respiro, sorretto sempre da un approfondimento critico dei contesti. L’indagine filologica non risulta così fine a se stessa, ma innerva proficuamente la ricerca storica. Ricerca che si propone di ricostruire i fatti e i campi d’interrelazione che determinano le operazioni artistiche, ma si cimenta anche nel compito ambizioso e affascinante di rintracciarne i valori e di interpretarne i significati. In questa prospettiva la lettura iconologica si conferma come sbocco necessario alla piena comprensione dell’opera d’arte e della realtà socio-culturale in cui è stata prodotta. Tutto questo può sembrare ovvio, ma non lo era affatto – almeno in Italia – negli anni in cui Calvesi, per esempio, pubblicava su questa rivista i suoi studi su Dürer (1969), Giorgione (1970), Caravaggio (1971) o Piero della Francesca (1975). E tra i meriti che vanno riconosciuti a “Storia dell’arte“ c’è proprio quello di aver accolto letture innovatrici e autorevoli proposte interpretative.

La rivista, inoltre, si è sempre qualificata per l’ampia partecipazione di studiosi stranieri, che possono scrivere nella propria lingua. Scorrendo gli indici si può costatarne l’alta percentuale: limitandosi alle annate 1969-2000, sono 150 le firme non italiane su un totale di circa 600 saggi (il 25%). Gli illustri nomi che vi figurano vanno da Chastel a Gombrich, da Bodart a Rosenberg, da Spear a Turner, da Garms a Röttgen, da Frommel alla Von Hennemberg, da Gonzáles-Palacios a Spalding, da Meijer a Stoichita, da Lisa Beaven a Pamela Jones e a tutta una schiera di studiosi di fama o agli esordi. La presenza così nutrita di specialisti stranieri corrisponde a quell’atteggiamento di apertura internazionale che fa del confronto con ricercatori europei ed extraeuropei uno dei motivi ispiratori del proprio impegno culturale, al modo con cui l’aveva concepito e praticato Lionello Venturi (cfr. gli Atti del Convegno Lionello Venturi e i nuovi orizzonti della ricerca della storia dell’arte,  nel n. 101, 2002). Per altro verso va segnalato il numero consistente di testi redatti da giovani ricercatori, spesso appena laureati, che hanno avuto l’opportunità di pubblicare le loro prime indagini e di renderle note anche agli studiosi di altri paesi.

Prendendo avvio nel 1969, la pubblicazione di “Storia dell’arte“ ha attraversato l’ultimo scorcio del cosiddetto «Secolo breve», segnato prima dall’acuirsi dei conflitti ideologici (il Sessantotto precede di un anno la nascita della rivista), poi dalla caduta delle ideologie del Novecento e dagli eventi del 1989 che hanno radicalmente trasformato l’assetto internazionale. In quel complesso quadro di mutamenti e – come rilevava Argan nell’Editoriale del n. 1 – di «crisi delle discipline umanistiche», “Storia dell’arte“ ha offerto uno spazio di ricerca il più possibile autonomo da rigidi schieramenti (e naturalmente dalle istanze del mercato e dalla logica dei consumi). Oggi, in un clima politico profondamente mutato e instabile, alle prese con una storia anch’essa di grandi cambiamenti, fare una storia dell’arte “a tutto tondo”, libera da tentazioni settorialistiche, aperta alle diverse metodologie e ai nuovi strumenti di ricerca, anche quelli offerti dalla tecnologia (Argan già nel ’69 esortava all’aggiornamento tecnologico e all’uso sistematico degli “ordinatori”), costituisce una proposta quanto mai necessaria. Di fronte a uno scenario culturale sempre più tentato dai particolarismi e da tensioni divisive, dando seguito all’ampia prospettiva della tradizione umanistica di matrice europea, è davvero opportuno aprirsi alle nuove direttrici dei Global Studies

Cercheremo, dunque, di cogliere i frutti più importanti del lavoro sedimentato nel passato da quanti hanno collaborato con “Storia dell’arte”, innestandoli nel futuro e continuando a promuovere quella collaborazione tra studiosi di lungo corso e più giovani, che è stata una prerogativa importante della nostra rivista. 

Con questo fascicolo inizia una Nuova Serie di “Storia dell’arte“, che avrà una cadenza semestrale e non più quadrimestrale. È doveroso ringraziare i generosi donatori, che in questo momento di passaggio hanno offerto il loro sostegno.

Maurizio Calvesi passa ora il testimone della direzione di “Storia dell’arte“, ma resta viva la sua lezione di grande Umanista. Sicuro di interpretare il sentimento dei suoi numerosissimi amici, allievi e colleghi, desidero esprimergli tutta la nostra affettuosa gratitudine. Non meno grati siamo ad Augusta Monferini, per la dedizione con cui ha curato in questi anni la pubblicazione della rivista, superando difficoltà di ogni genere. Il suo impegno e la sua passione ci incoraggiano a continuare questa impresa.
Alessandro Zuccari, 2018