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«Opus Leonardi Recti». Leonardo Reti e il monumento Rasponi in Laterano, con una nota sul Baciccio

Davide Lipari

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Davide Lipari

Nella guida The Churches of Rome, pubblicata in due volumi tra il 2014 e il 2015 (I, p. 214, II, p. 124), Michael Erwee, grazie al ritrovamento di alcuni documenti d’archivio, ha corretto l’attribuzione della scultura presente nel monumento lateranense della famiglia Rasponi, sino a oggi ritenuta opera di Filippo Carcani (1644-1688) ma in realtà scolpita da Leonardo Reti (1632 circa-1714). L’agnizione di Erwee non è però entrata nella letteratura critica specialistica più recente.

La prima menzione della scultura come lavoro di Carcani risale alla guida di Filippo Titi (1674, p. 243), e i mancati aggiornamenti della letteratura odeporica successiva hanno lasciato sedimentare l’equivoco attributivo.

In realtà Titi illustrò così il gruppo scultoreo: «la morte di rilievo con un’altra figura che porta la cassa è lavoro di Filippo Romano». Una descrizione non pertinente all’iconografia del marmo oggi visibile nel sacello.

Nell’opera vediamo una figura virile alata, il Tempo, incedere su una vegetazione simboleggiante il trascorrere delle stagioni (da sinistra, alcune spighe, come onde, si intrecciano a una pianta di rose, a sua volta affiancata da tralci di vite e da un ceppo arido). Il Tempo stringe una falce nella mano destra, mentre con la sinistra regge il ritratto in medaglia del cardinale Cesare Rasponi (1615-1675). Viene colto alle spalle dalla Fama in volo, che gli sottrae il ritratto del prelato per eternarne la memoria (fig. 1).

Fig. 1
Leonardo Reti, Il Tempo e la Fama, 1682-1692, Roma, basilica di San Giovanni in Laterano (fotografia di Virgilio D’Ercole; per gentile concessione di: Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell’arte)
 
 

Leggendo le tre iscrizioni attorno alla nicchia, si rilevano i seguenti dati. Nel 1670 il sacello venne eretto dal cardinale Rasponi per la madre Clarice Vaini (†1669). Nel sepolcro furono poste in seguito anche le spoglie del cardinale stesso, e con l’occasione venne decorato dai suoi eredi universali, i confratelli dell’Ospizio dei Convertendi alla Fede Cattolica. Infine, entro il 1730, il marchese Cesare Rasponi (†1759), pronipote del cardinale, traslò nel mausoleo i resti della propria madre, Margherita Ricci (†1696).

Le carte indicate da Erwee, e altre non ancora note, sembrano tracciare due diverse fasi costruttive: una prima, avviata nel 1670 dal cardinal Rasponi, che prevedeva la presenza nel sacello del gruppo con «la morte di rilievo» e la «figura che porta la cassa» (poste in loco provvisoriamente in stucco); una seconda, gestita dai confratelli dell’Ospizio dei Convertendi dopo la scomparsa del prelato.

Testimonianza visiva del primo progetto dovrebbe essere il modelletto in terracotta oggi conservato al Victoria & Albert Museum di Londra, già ritenuto di ambito berniniano e mai collegato alla «morte di rilievo con un’altra figura che porta la cassa» – questa segnalazione si deve ad Andrea Bacchi (fig. 2). La lacunosità della documentazione concernente l’avviamento dei lavori, la mancanza di opere di confronto simili per dimensioni e materiale, la vicinanza stilistica tra Carcani e Reti all’altezza della prima metà degli anni settanta, non consentono, al momento, di escludere tout-court un’iniziale coinvolgimento di Carcani nella commissione.

Fig. 2
Filippo Carcani o Leonardo Reti, La Morte e il Tempo, Londra, Victoria & Albert Museum

Più ricca è invece la documentazione relativa al secondo cantiere.

I confratelli dell’Ospizio dei Convertendi scelsero di commissionare una nuova scultura, con un nuovo soggetto, per meglio onorare il loro benefattore, avvalendosi anche dell’assistenza di Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio (1639-1709). Reti protrasse a lungo la gestazione della scultura dal 1682 al 1692, mentre – ci dicono i documenti – i confratelli avevano «invano adoperato l’autorità, le minaccie, i prieghi e i premij». Sorsero infine varie discussioni sui compensi.

Oggi la paternità del gruppo marmoreo lateranense può essere confermata anche dalla riscoperta della firma dell’artista («Opus L[eonar]di Recti»), di cui per oltre tre secoli nessuno si era mai accorto.

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