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Il rosa Tiepolo. Un omaggio a Roberto Calasso di Marisa Volpi (da “Storia dell’arte n. 118, 2007)

Antonella Sbrilli

Scritto da:

Redazione

Il 28 luglio 2021 è venuto a mancare Roberto Calasso, scrittore, editore, anima della casa editrice Adelphi, in cui è stato attivo sin dalla fondazione nel 1962. Nel corso della sua lunga carriera di studioso, saggista, ricercatore, ha pubblicato libri densi di riferimenti letterari e filosofici e – da ultimo – accostevoli racconti del mestiere dell’editore e dell’organizzazione di una biblioteca. Nei suoi testi coltissimi, le immagini della storia dell’arte hanno avuto un ruolo importante. Un libro in particolare, Il rosa Tiepolo (2006), spicca per capacità di cogliere – attraverso gli affreschi, i quadri e le incisioni dell’artista veneziano – le trasformazioni di un’epoca e le sue risonanze nella critica moderna.
Nel numero 118 di “Storia dell’arte”, la storica dell’arte Marisa Volpi dedicò una recensione al testo di Calasso, che riproponiamo alla lettura.

Postilla a Il rosa Tiepolo, di Marisa Volpi

“Caricato, scontroso, scorbutico. Senza la sua prodigiosa retorica, la sua prospettiva spericolata, il suo illusionismo scenico, il Tiepolo sarebbe scomparso nelle sue tasche di acqua fredda”. È questa una delle metafore bizzarre e mordenti che si trovano in Viatico per cinque secoli di pittura veneziana di Roberto Longhi. I giudizi negativi possono tuttavia volgersi in connotazioni efficaci se proviamo ad uscire dal contesto acido delle famose pagine degli anni Quaranta, tutte vòlte ideologicamente verso Caravaggio e il caravaggismo.

       Nel bel libro di Roberto Calasso Il rosa Tiepolo (Adelphi, 2006) prensilità caricaturale del disegno, scontrosità nel rivelare i particolari del racconto ai visitatori dei Palazzi e delle Residenze, e quel misterioso gusto ermetico che spinge lo spettatore ovunque a scoprire inganni e cerimonie, ad interpretare a più riprese figure e motivi, queste caratteristiche tornano ad essere un’attrazione sia negli affreschi che nei quadri e nelle incisioni del Tiepolo. L’autore prende spunto dalla sottovalutazione di Longhi, e dalla scarsità di echi tiepoleschi nella cultura dei conoscitori europei del XVIII secolo, per dare del Tiepolo e dei suoi dipinti una nuova lettura suggestiva, avvalendosi anche di altri due importanti testi recenti: Michael Levey, 1986, Svetlana Alpers e Michael Baxandall, 1996.

Nelle prime pagine di Calasso si colgono la complessità e la qualità letteraria del libro dal quale citerò due frasi. All’inizio, riassumendo il giudizio sul carattere conclusivo dell’opera del Tiepolo, dato da alcuni studiosi scrive: “Ma trascuravano di registrare quale inaudito addensamento di veleno e di dolcezza si compisse in quel motus in fine velocior”. E il duello con Longhi continua con una rappresentazione magistrale e ubiqua della carovana Tiepolo: “Chi assoldava Tiepolo si impegnava ad accogliere, insieme a lui, la sua intera tribù, che si spostava di sestiere in sestiere, di villa in villa, spingendosi fino a Würzburg e a Madrid. Era ‘la tribù profetica dalle pupille ardenti’ che un giorno avrebbe evocato Baudelaire, la carovana inarrestabile, variegata e disperata, che trascinava con sé, confusi tra le sue masserizie, i relitti della storia”.

       Si parla della troupe di Tiepolo o del suo repertorio?

Ambedue i luoghi vengono allusi, il reale e il dipinto: Tiepolo con i suoi figli e aiuti in giro per l’Europa, nonché gli spettacoli esibiti nei soffitti di Venezia, di Bergamo, di Udine, di Milano, di Würzburg, di Madrid, prodighi di simulazioni che ostentano la loro fragilità e la loro perfezione. Quei soffitti dove, oltre ai colori e alla luce veronesiana, a mio avviso si coglie un dispiegarsi di caleidoscopici giochi, di simulazioni, eredi strutturalmente del linguaggio più che dello stile del Seicento – da Bernini, a Rubens, a Padre Pozzo. Simulazioni e trompe-l’oeil, simulazioni al quadrato, drogate, smontabili, realismi caricaturali. “Dopo – scrive Calasso – la pittura divenne sempre più un’attività monologante”.

       Con Tiepolo (con tutto il Rococò) finisce infatti l’antica gloria della committenza, oltre che della tradizione pittorica classica (non classicista) legata all’aristocrazia e alla Chiesa.

       Prima di proseguire, vorrei segnalare come il tono cerimoniale e sinistro di questa fine della pittura ricordi un altro libro di Calasso La rovina di Kasch (1986), dove uno dei protagonisti è Talleyrand, “gran Ciambellano, custode di una casa di spettri, l’ultimo che ha conosciuto le cerimonie”. Con Talleyrand, scrive, “fluttuano immensi corpi vaporosi, venefici, le cose non riposano in se stesse. Nulla poggia!”.

       In ambedue i libri – in ambedue i soggetti – circola quell’amaro che si avverte dove la frattura definitiva della continuità provoca gelo e vento. E Calasso è un esperto del pensiero e delle idee che scaturiscono da questo genere di sillogi.

Ne Il rosa Tiepolo, in più occasioni, l’autore elenca il campionario delle figure che l’artista, per così dire, tiene da parte “per l’uso”: torsi di giovani donne, drappi fastosi, vecchi vestiti all’orientale, efebi, schiavi, e uno zoo ricco di uccelli variopinti, di gufi, pipistrelli, elefanti, cammelli, serpenti. Degli accostamenti di doppi quali vecchi vigorosi allacciati a ninfe o dee, Calasso scrive “La giovane donna bionda e l’uomo vecchio e temibile con la barba è la polarità a cui Tiepolo appena ha un pretesto si affida”. Verità e Tempo, Venezia e Nettuno, Plutone e Proserpina, Venere e Vulcano ne sono alcuni esempi. Le ripetizioni delle figure accentuano il carattere provvisorio delle apparizioni, il loro accamparsi ai bordi di soffitti circolari, ovali, poliedrici, con cornici architettoniche e sculture dipinte, che impongono il gioco del bianco e dei tenui colori dei marmi.

Giovanni Battista Tiepolo, Apparizione dell’angelo a Sara, 1726-29, Udine, Arcivescovado

Del resto dai primi spericolati salti mortali di Palazzo Sandi a Venezia, a quelli dell’Arcivescovado di Udine, di Palazzo Clerici a Milano, della Residenza di Würzburg, all’Apoteosi della Spagna nel soffitto del Palazzo Reale di Madrid, il senso delle impennate di queste figure è il loro sostare a malapena sui cornicioni o sulle nuvole, quasi per avvertire coloro che si incantano ad osservarli, che la loro presenza è instabile: tutto promette un movimento imminente e veloce. Tutti sono impegnati in una strana corsa. Essi sono lì in procinto di andarsene seminudi, vestiti di sete e di abiti da cerimonia ai bordi di affreschi aperti sulla spirale dell’infinito: un cielo dove dèi, angeli, santi, uccelli, salgono o scendono in verticale, in diagonale, o a serpentina.
“La teatralità – scrive Calasso – serve ad alleggerire l’apparenza”. E dopo aver dedicato un centinaio di pagine a introdurre la pittura del Tiepolo, a
raccontare la sua vita faticosa e sfortunata, la renitenza a partire per la Spagna, dove affrescò il Palazzo Reale, e morì vecchio, isolato e malvisto nel 1770; si apre un secondo ampio capitolo intitolato Teurgia.

Teurgia ci dice Calasso vuol dire costrizione degli dèi, una zona interna alla Magia. La conoscenza del nome vero, autentico (la gnosis) racchiuderebbe l’essenza di ciò che nomina e che “così concede a colui che lo conosce di influire sul nominato”. Siamo introdotti nella sfera del sacro.

Giovanni Battista Tiepolo, Mago con scimmia, acquaforte, Udine, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte

Il capitolo è dedicato alle incisioni1 e inizia presentando i trentatré Capricci e Scherzi di fantasia, i cui argomenti sono ancora assai misteriosi. Vengono citati Zanetti, Mariette, tra la bibliografia citata Terisio Pignatti, Anna Pallucchini, Max Kozloff.

       La visione orgasmica dei soffitti trova nelle incisioni una specie di alt, nessuno più minaccia di andar via, gli occhi sono concentrati, anche se il segno continua a essere inventivo di per sé nelle svirgolature e nei tratti mimici, come se il mondo rappresentato fosse tutto di materia sfilacciata, vegetale, animale. Le figure si riuniscono in zone collinose e desolate. Forse, dato l’apparire di greggi qua e là, sono luoghi di pastori, e gli strani personaggi concentrati attendono lì a qualche rito. La gran vita degli affreschi e dei quadri rattrappisce in un silenzio sinistro e meditativo.

       Calasso ci segnala due dati per osservare attentamente le singole immagini e il loro assemblage. Primo: le composizioni sono prevalentemente determinate da diagonali – come nei dipinti – ma qui più vistosamente da abeti spogli, tronchi spezzati, asce, alabarde, resti di rovine. Secondo: lo sguardo dei personaggi è ipnotizzato da un punto del terreno, e ci lascia interdetti per l’impossibilità di individuare l’oggetto del loro intenso guardare.

       Che cosa guardano in quei terreni stretti e spogli, pieni di resti: bucrani, sassi scolpiti e diroccati, piramidi spezzate, ossa, maschere vivide sulla superficie dei vasi, clessidre, serpenti attorti a bastoni, mappamondi, libri, due volte Pulcinella, una volta un colloquio consultivo con la morte, qualche capro, qualche cavallo, qualche cane e innumerevoli uccelli notturni in piena luce?

       Le incisioni ricordano certamente Salvator Rosa, Benedetto Castiglione ed altri incisori “stoici”2, tuttavia Calasso cita una frase da Diana Russell che espose a Washington l’album Rosenwald: “Le acqueforti dei Capricci e degli Scherzi sono rimaste un mistero dal punto di vista dell’iconografia”. Subito dopo leggiamo una efficace frase di Levey secondo cui le scene degli Scherzi, pur avvenendo all’aria aperta, hanno qualcosa di claustrofobico.

       Calasso si inoltra poi in una disamina dei significati esoterici del serpente dai caldei agli egizi, agli ebrei, ai greci, ai cristiani, come simbolo del bene e del male, e sul come interpretarlo in Mosè e in Ezechia, ma anche nella cultura indiana e persiana. Ci avverte che nelle incisioni di Tiepolo i vecchi in foggia orientale appaiono per diciotto fogli e i serpenti in quattordici. E che la relazione andrebbe focalizzata.

Se le incisioni fanno riferimento a iconografie che non si è riusciti ancora ad individuare, certamente sono il controcanto delle fughe e delle apparizioni dei soffitti e dei quadri: quelli sono la vita, il racconto dei suoi fasti e nefasti, allegorie e sogni bizzarri, e queste sono la riflessione, la ricerca, la morte.

       Scrivendo una pagina su Mosè che brandì il serpente di bronzo e intimò agli ebrei di guardarlo, l’autore aggiunge (e cita Gerhard Kittel) che guardare permette di guarire il male per mezzo della sua immagine distaccata.

       Sembra al lettore che nell’imperativo di Mosè a fissare il serpente e nel tema ricorrente dei Capricci sia leggibile perfino un’esortazione alla contemplazione estetica, se Calasso riassume la sua disamina con questa frase: “È l’arte del distacco, dell’immagine discreta (in senso matematico), che si separa dal continuo percettivo e immette una scheggia di illusoria perennità nel flusso della coscienza”. Guardare è, dunque, vivere un lampo di eternità, uscire da se stessi per una sosta epifanica, e addirittura influire sul nominato.

       Il terzo capitolo di Il rosa Tiepolo è intitolato Gloria e solitudine, poiché arriva al periodo spagnolo. Si ritorna sugli affreschi di Palazzo Labia, e su quelli della Residenza di Würzburg, caravanserraglio, resti di storia, esibizioni delle allegorie dei quattro continenti a Würzburg, dove i personaggi della Corte, come il Principe-Vescovo Von Greiffenklaus, Balthasar Neumann, l’architetto della Residenza, e i membri della Famiglia von Schönborn, sembrano ancor più irreali di quella compagnia di giro, fatta di nani, dignitari, donne eleganti, operai, musicisti, animali dei quattro continenti.

       Ma il periodo spagnolo oltre agli affreschi del Palazzo Reale, nei quadri e soprattutto nei piccoli quadri ha qualcosa di cupo. Si sa che Tiepolo non voleva lasciare Venezia e una sua lettera renitente spiega come egli non possa partire perché sta sistemando la sua numerosa famiglia, e soprattutto il viaggio l’avrebbe esposto ai suoi particolari “terrori panici sia delle Alpi, sia del mare”. Quattro quadri soprattutto riflettono una malinconia terribile e sono sul tema della Fuga in Egitto, ripresi dopo quindici anni dalle ventiquattro incisioni sullo stesso tema realizzate dal figlio Giandomenico.       

Giovanni Battista Tiepolo, Riposo nella fuga in Egitto, 1762/70, Stoccarda, Staatsgalerie

Calasso riproduce il quadro di Stoccarda, un olio su tela verticale, dove il cielo è grigio, le nuvole sembrano ghiacciai, l’acqua da attraversare è di un verde nero. Le minuscole figure della Sacra Famiglia e dell’asino sono addossate alla roccia in attesa della barca. Il quadro è tutto in altezza (cm 57×44) misurato da un altissimo abete obliquo mentre due uccelli, uno bianco vola sull’acqua e uno nero sulle nubi bianche. Come scrive Levey “Their wheeling freedom in the air only, heightness the impression of remotness and isolation”, e Calasso che così chiude il suo volume: “Qui sussiste quasi soltanto il paesaggio: la roccia cadente, il pino, gli uccelli, il fiume vitreo. Maria, Giuseppe, il bambino, l’asino si vedono appena, in un angolo. Sono comparse anonime assorbite nel paesaggio. La visione deve ancora sopraggiungere. C’è una stasi intatta – e la mutezza meravigliosa del mondo”3.

1 Le incisioni furono eseguite dall’artista per la maggior parte negli anni Quaranta. Per le datazioni si veda Giambattista Tiepolo: il segno e l’enigma, a cura di T. Pignatti, D. Succi, F. Montecuccoli degli Erri, F. Pedrocco (Castello di Gorizia, giugno-agosto 1985), Vianello libri, Gorizia 1985.

2 Cfr. L. Salerno, Salvator Rosa, G. Barbera, Firenze 1963.

3 Leggere e studiare Il rosa Tiepolo di Calasso è stata l’occasione per rileggere anche il ricchissimo capitolo sulla politica feudale di Venezia in Mecenati e Pittori di Francis Haskell (Einaudi, 1966) e per trovare nella mia biblioteca il libro di Giuseppe Pavanello sul Canova collezionista di Tiepolo (Fondazione Canova, Possagno 1996). Vi sono riprodotti alcuni dei sublimi ritratti a penna, inchiostro e gouache – per lo più in collezioni americane, o collezioni ignote. Le teste, tracciate velocemente, e come per miracolo viventi in una loro individualità perspicua, momentanea, comunicativa, talvolta appassionata, sono probabilmente i capolavori del Tiepolo. Per una bibliografia tematica di vastissimo raggio si vedano i numerosi e interessanti contributi del Convegno su Giambattista Tiepolo al terzo centenario dalla nascita, Venezia 1996. La raccolta, curata da Lionello Puppi, contiene una prolusione di Francis Haskell che nega l’importanza del Tiepolo per i suoi successori e lo vede incastonato nell’ancien régime. Ringrazio Michela Santoro per l’aiuto e la collaborazione.

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