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Con Giulio Manieri Elia nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, di Antonio Lampis

Antonio Lampis

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Antonio Lampis

Antonio Lampis: Sono passati più di due anni dalla nomina a direttore in un importante museo veneziano – le Gallerie dell’Accademia – che conoscevi bene. Come è cambiato il Tuo lavoro. Fare il direttore è ormai un mestiere specifico, quanto tempo resta per fare lo storico dell’arte e quanto invece è utilizzato per le complesse responsabilità di gestione?

Giulio Manieri Elia: Sono stato nominato al vertice del museo nel giugno 2019 e provenivo, come ricordavi, da una lunga esperienza all’interno della struttura, coronata con la nomina di vicedirettore nel 2009 e direttore delegato dal 2013 fino al novembre 2015 quando le selezioni previste dalla riforma dei musei del 2014, approvata con decreto del ministro Franceschini, ha portato Paola Marini al vertice. Pochi mesi dopo la mia nomina il Paese è scivolato, dal marzo 2020, nella lunga fase della crisi pandemica con gli effetti che tutti conosciamo sui musei e sul sistema della cultura in generale.
Il percorso di direttore ha seguito pertanto, fino a qui, un tracciato direi straordinario, abbiamo fronteggiato situazioni del tutto anomale con esperienze non tutte negative come ci si aspetterebbe; le Gallerie sono rimaste aperte non appena possibile, fornendo servizio ordinario continuativo, e questo ci ha permesso di conoscere un pubblico il quale, nei grandi numeri del turismo di massa, era andato in ombra, visitatori che si identificano nel patrimonio e vi sanno cogliere benessere ed energia.
La Tua domanda coglie nel segno e mi sembra ben contestualizzata in una rivista come questa:  il mestiere del direttore è un mestiere specifico che presupporrebbe una formazione specialistica, a cui non sempre siamo preparati, l’attività diciamo manageriale assorbe buona parte del nostro tempo ed è lontana dal mestiere dello storico dell’arte, tuttavia, si badi bene, gli strumenti che uno storico dell’arte maneggia rimangono, in ogni caso, una componente essenziale, considerato, ad esempio, il lavoro di completo ripensamento del percorso del museo che stiamo conducendo.
Penso anche allo specifico del restauro – argomento tutt’altro che “manageriale”, da sempre al centro dei miei interessi specifici prima di funzionario e poi di direttore, e che rappresenta per le Gallerie un fiore all’occhiello, come penso dimostrino anche i numerosissimi interventi condotti prima dell’inaugurazione, finanziati peraltro, in massima parte da privati.

Antonio Lampis: In questi giorni è stato inaugurato il riallestimento dei saloni Selva – Lazzari al piano terra. Un museo nel museo.  Ho visto con grande piacere una particolare attenzione al visitatore come auspicato nelle linee guida della direzione generale musei per “il miglioramento costante del racconto museale” (circolare 29 del 14 giugno 2019). Le didascalie sulle colonne sono complete, ad altezza degli occhi e contengono le informazioni utili per soddisfare i desideri di conoscenza. Ci sono altri progetti di cura del pubblico?

Giulio Manieri Elia: I due grandi saloni, dedicati ad opere del Seicento e del Settecento, completano il percorso al piano terra dedicato alla presentazione dell’evoluzione dell’arte a Venezia e nel Veneto dal Seicento all’Ottocento mentre il primo piano è dedicato ai secoli precedenti, scelta che facemmo per poter mantenere quanto sopravvissuto dell’allestimento di Moschini-Scarpa; in questo piano proseguono i lavori di restauro architettonico, a cura del Segretariato MIC del Veneto, e a seguire i nostri lavori di rinnovamento dei percorsi allestitivi.
Mi fa molto piacere che Tu abbia colto lo sforzo che i nostri funzionari stanno facendo di rinnovamento nella comunicazione, non solo dunque nel formato delle didascalie, nella grandezza dei caratteri, nella scelta dei colori o delle altezze da terra degli apparati, ma anche nella qualità delle informazioni che rimangano di alto profilo scientifico ma resi il più possibile di agile accessibilità. Questo sforzo si sta conducendo anche nel resto del museo. Il lavoro che ora dobbiamo condurre è volto all’unificazione degli apparati didattici: i due saloni presentano le modalità che hai descritto, le sale precedenti hanno informazioni veicolate attraverso touch screen e quelle successive sono prive di apparati. Riguardo alla comunicazione, attraverso il nostro sito e sui canali social, si è già fatto moltissimo lavoro ma molto rimane ancora da fare per perfezionare ed aggiornarlo.
Stiamo anche ragionando per portare avanti progetti dedicati a pubblici specifici, dalle famiglie alle scuole, alle persone della terza età, quelle fragili. La parte educativa dovrà necessariamente essere integrata con l’aiuto di collaborazione esterne, mancando all’interno le risorse umane in grado poter svolgere operativamente le attività con il pubblico. Va anzi detto che purtroppo la pianta organica dei musei (anche autonomi) non prevede operatori didattici, figure di pedagogisti o esperti di “educational”, termine inglese nato proprio per intendere una più diversificata e ampia offerta educativa a pubblici diversi, come avviene ormai da molti anni nei musei stranierei, soprattutto di area anglosassone.
Superata la fase più critica dell’epidemia pubblicheremo un bando per l’affidamento esterno dei servizi di visite guidate e laboratori didattici con durata pluriennale, con tutto il notevole sforzo amministrativo, oltreché di coordinamento che questo comporterà. Il concessionario dei servizi di biglietteria e bookshop, (quest’ultimo completamente rinnovato, arricchito da una libreria specializzata e aperto da ottobre 2019), ha inoltre l’affidamento per la realizzazione di una nuova videoguida, non ancora attiva anche a causa dei ritardi dovuti alla pandemia, che sarà uno strumento di nuova tecnologia, comprensiva di percorsi “facilitati” e dedicati, come ad esempio quello dedicati ai bambini e ragazzi più giovani.

Antonio Lampis: Le nuove opere sono un tributo all’arte veneta, ma anche opere di fortissimo impatto emotivo. Come storico dell’arte cosa vorresti ricordare ai lettori di questa Rivista, pensando agli studi tradizionali e se vuoi a qualche spunto per una loro promozione polisemica?

Giulio Manieri Elia: Le nuove sale sono una grande sfida poiché cambiano completamente la visione del museo e della collezione: un passaggio epocale. Per questo abbiamo titolato l’apertura Le Gallerie che non ti aspetti, si tratta di un nuovo significativo tassello del percorso espositivo che stiamo ridisegnando, nel quadro della costruzione del quarto allestimento scientifico alle Gallerie dell’Accademia. Il primo che ha potuto giovarsi di spazi ampliati al piano terra, ambienti lasciati liberi con il trasferimento dell’Accademia di Belle Arti in altra sede. L’obiettivo che credo sia stato raggiunto, nel lavoro condotto complessivamente, è quello di offrire agli studenti, agli studiosi, ai visitatori del museo dei prossimi anni una presentazione più esaustiva dei principali fenomeni artistici manifestatisi a Venezia e nel Veneto e una più chiara e completa visione dell’evoluzione e dei percorsi della Scuola pittorica veneta che è la specificità di questo museo. Per il Seicento si tratta, per giunta, di un vero risarcimento critico poiché, stretto tra i periodi d’oro dell’arte a Venezia (Cinquecento e Settecento), aveva sofferto in passato di minore considerazione e pertanto di ridotto spazio espositivo. Naturalmente il progresso degli studi è stato enorme anche riguardo al Seicento veneto, penso agli studi monografici su grandi protagonisti – da Padovanino a Mazzoni, da Strozzi a Régnier, da Pietro Vecchia a Langetti – nonché agli studi sul collezionismo e sulla committenza in città e nella Repubblica nel corso del XVII secolo. Tuttavia, se tu mi chiedi dove, in quale museo o in quale luogo è possibile avere una visione di insieme del complesso scenario artistico veneziano del secolo adesso ti posso rispondere orgogliosamente di venire alle Gallerie: in sala 3 c’è uno spaccato sul collezionismo privato, con opere di eccezionale qualità: penso ai Fetti, ai Liss, ai Maffei, in sala 5 c’è ora una vasta panoramica di pittura monumentale con alcuni vertici assoluti del tempo (non solo veneziani) come la Deposizione di Luca Giordano.

Antonio Lampis: L’allestimento di Tobia Scarpa è naturalmente ora compiuto nel segno della continuità con il preesistente. È pensabile per alcune parti delle gallerie un allestimento completamente rivoluzionario?  È una sfida che t’interesserebbe, nell`ambiente reale delle gallerie o negli ambienti digitali?

Giulio Manieri Elia: A Tobia Scarpa, sotto la direzione di Renata Codello, è stato attribuito il restauro del piano terra e di parte del primo piano nell’ala palladiana e la continuità dell’allestimento, a lui affidato da Paola Marini anche per queste nuove sale, è dunque in continuità con il lavoro da lui già condotto. Per quanto ci riguarda abbiamo cercato di realizzare un allestimento che fosse non meramente cronologico ma che, pur all’interno di un percorso organizzato seguendo uno sviluppo temporale, cercasse altre strade narrative come sale tematiche per implementare la capacità comunicativa. Il museo ha sempre sofferto di salti critici e cronologici che rendevano alcuni passaggi storico-artistici scarsamente comprensibili e il lavoro che stiamo conducendo è quello di semplificare e sciogliere questi i nodi.
Rispetto all’intervento pensato da Tobia Scarpa abbiamo localmente optato per alcune soluzioni diverse, come la coloritura grigia dei pannelli, a nostro avviso più adatta rispetto al bianco per ospitare i dipinti qui selezionati, e un impianto di illuminazione completamente nuovo a tecnologia LED che dialoga con la luce naturale e che sostituisce il precedente a incandescenza, anche con buone ricadute di risparmio.

Antonio Lampis: Quali sono i Tuoi piani per i prossimi anni? Quale ruolo vedi per le gallerie dell’Accademia nel sistema museale di Venezia.

Giulio Manieri Elia: Concluso il piano terra, ora oltre a proseguire l’attività di rinnovamento allestitivo del primo piano, punteremmo al rilancio dei nostri Laboratori di restauro alla Misericordia, una importante realtà operativa, voluta da Francesco Valcanover e Giovanna Nepi Sciré, che ha sempre correttamente coniugato ricerca e restauro; una struttura che svolge un lavoro di alto profilo professionale aperto anche al territorio. Infine, dovremmo partire, con uno studio di fattibilità, per la verifica della possibilità di chiusura della Corte Gotica; si creerebbe il vero fulcro dell’accoglienza in museo, migliorando i percorsi dei visitatori che rimangono imperfetti, un vero cuore pulsante per la struttura di cui si sente grande la mancanza.

Venendo infine al posizionamento del museo all’interno della città, le Gallerie sono riuscite, in questi anni, a ritagliarsi un ruolo sempre più centrale nel tessuto culturale cittadino. Credo abbia giovato l’aver continuato a fornire servizio pubblico – con un grande sforzo dell’intera struttura – anche nei momenti più critici.
Le Gallerie sono state l’unico museo continuativamente aperto con la grande acqua alta del novembre 2018, l’unico a dare da subito servizio continuativo, dopo le riaperture dai lockdown, un faro sempre acceso di arte e cultura riconosciuto con gratitudine dell’utenza.
Le Gallerie hanno poi fatto un vero lavoro di costruzione di relazioni e di reti di rapporto con la città, uno degli strumenti sono state le molte convezioni sottoscritte: con tutte le università, con i musei del cosiddetto Miglio dell’arte di Dorsoduro (Casa Cini, Guggenheim, Punta della Dogana), con l’Accademia di Belle Arti, con la quale stiamo condividendo progetti e collaborazioni molto significative, fino ad un accordo con il Venezia Calcio, aprendoci a nuovi e significativi pubblici.

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