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Due anfore inedite di Pietro Papi (Urbania 1670) con scene della Gerusalemme Liberata del Tempesta

Romana Mastrella

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Romana Mastrella

ROMANA MASTRELLA

Questo contributo propone in forma sintetica alcuni risultati di una ricerca pluriennale sulla maiolica del Seicento a Roma, promossa dal professor Massimo Moretti (Sapienza Università di Roma), e condotta da chi scrive in occasione della tesi triennale, discussa nel dicembre del 2018, e magistrale, attualmente in via di redazione.1 R. Mastrella, La ceramica istoriata del Seicento a Roma, tesi di laurea triennale, relatore prof. M. Moretti, A. A. 2017-2018; Eadem, La maiolica a Roma nel Seicento: la collezione di vasi da farmacia del complesso di S. Spirito in Sassia, relatore M. Moretti (in corso di redazione).                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
Nel corso di un’indagine a largo raggio è stato possibile ritrovare due monumentali anfore, ora in collezione Alberto Di Castro, Roma, dipinte a istoriato nel 1670 nella bottega Papi, famiglia di ceramisti attivi ad Urbania, l’antica Casteldurante.

La coppia di anfore, alte 82 cm, ha un corpo ovoidale, su alto piede a disco con modanature, e due anse verticali a forma di serpenti tra loro intrecciati che originano da protomi leonine.


Dettaglio della coppia di anfore poste lateralmente

Su entrambi i lati delle basi vi è un cartiglio con scritte a caratteri capitali romani che descrive la scena rappresentata e attorno al piede corre un’iscrizione in cui è indicata la bottega di produzione; su un’anfora si legge «NELLA BOTEO (sic!) DEL PAPI ANNO 1670 IN UBRANIA (sic!)» mentre sull’altra «NELLA BOTEO (sic!) DEL PAPI L’ANNO 1670 IN UBRANIA (sic!)».2 L’iscrizione è da leggere come «NELLA BOTTEGA DEL PAPI L’ANNO 1670 IN URBANIA». Questa tipologia di firma in cui è indicata la bottega di produzione e non solamente il nome del singolo maiolicaro è tipica degli artisti di Casteldurante; ad esempio, due degli alberelli in origine parte del servizio Boerio realizzato nella bottega dei fratelli Picchi nel 1562/63 portano la firma «fatta in castello duranto in botega de m.o ludovico pichio». Tale usanza rimase invariata anche per i ceramisti di Casteldurante attivi a Roma, come testimoniano due eleganti vasi da farmacia, datati 1600, opera del maestro durantino Giovanni Paolo Savini, nel cui centro è iscritto “FATTO IN ROMA DA GIO. PAULO SAVINO IN BOTTEGA DE M. DIOMEDE DURANTE IN ROMA”. (C. LEONARDI, M. MORETTI, I Picchi maiolicari da Casteldurante a Roma, Sant’Angelo in Vado 2002). È inoltre interessante notare che nella firma «Urbania» sia scritto come «Ubrania», forse per un errore materiale. Curiosamente lo stesso errore si ritrova in un’anfora della così detta serie Barberini, opera di Ippolito Rombaldoni (Casteldurante 1619 – Urbania 1679), oggi conservata al Museo Bagatti Valsecchi di Milano, in cui l’iscrizione alla base «ELOQUENZA» che dovrebbe descrivere ciò che è rappresentato, è posta sotto la scena sbagliata.


Dettaglio della firma

Entrambe le anfore presentano tracce di restauri effettuati nel secolo scorso, a cui sono riferibili i rinforzi in bronzo dorato sulla base e all’interno del collo e il disco in bronzo tra la base e il corpo ovoidale su una delle due.

La decorazione si articola per entrambe secondo uno stesso schema che vede un lato decorato a monocromo sui toni dell’azzurro e un lato policromo in cui si alternano toni giallo-ocra e marrone-manganese a quelli blu-cobalto e verde-rame. Le scene raffigurano i canti I, III, V e XIII della Gerusalemme Liberata del Tasso come illustrati dalle incisioni di Antonio Tempesta3Antonio Tempesta (1555 ca/ 1630) nel 1627 realizza una serie di 21 incisioni, di cui la prima costituisce il frontespizio con dedica a Taddeo Barberini, illustranti La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, numerate con numeri romani da I a XX (The Illustrated Bartsch. Antonio Tempesta. Italian Masters of the Sixteenth Century, a cura di S. Buffa, New York 1984). Sulla fortuna della Gerusalemme come tema per le opere d’arte si rimanda ai seguenti testi, suggeritimi gentilmente dal prof. Claudio Quaranta, che ringrazio: Torquato Tasso. Letteratura, musica, teatro, arti figurative, a cura di A. Buzzoni, catalogo della mostra (Ferrara, Castello Estense, Casa Romei, 6/09-15/11 1985), Bologna 1985; G. CARERI, La fabbrica degli affetti, Milano 2010; R.W. LEE, Armida’s Abandonment. A Study in Tasso Iconography before 1700, in De Artibus Opuscula XL. Essays in honor of Erwin Panofsky, New York 1961, I, pp. 335-349; Id., Ut pictura poesis: the humanistic theory of painting, New York 1967; J. UNGLAUB, Poussin and the poetic of painting: pictorial narrative and the legacy of Tasso, Cambridge 2006. .


Un’anfora presenta sul lato policromo la raffigurazione di Goffredo e del suo esercito che avanzano verso Gerusalemme, tratta dal canto I, con l’iscrizione: «RINALDO OFFESO (U)CIDE IL FIER GERNANDO POI SE NE VA LVNS(G)I DAL DUCE IN BAN (?)»; il lato monocromo presenta la raffigurazione di Rinaldo che viene liberato dall’incantesimo della maga Armida, tratto dal canto III, con l’iscrizione: «DELLA SVA GRATIA IL PIO GOFFREDO AFFIDA RINALDO OND’EL PARTI DA (LA) EMPIA ARMIDA».

La seconda anfora presenta sul lato policromo una scena tratta dal canto XIII in cui Goffredo di Buglione perdona Rinaldo, con in basso l’iscrizione «A’ GL’ ALTI CENNI IL CAPITAN DI CHRISTO MOSSE LE SCHIERE AL GLG(O)RIOSO AQVISTO»; sul lato monocromo, tratto dal canto V, è raffigurata Clorinda e l’uccisione di Dudone, con sotto l’iscrizione: «CLORINDA ALI FIDEL S’OPONE IN GVERRA CADE DVDON PER MAN BOVIS (?) IN TERRA».

Lo schema decorativo e la scelta delle scene dai rami incisi di Antonio Tempesta per la Gerusalemme Liberata del Tasso si ritrova in altre maioliche di ambito metaurense, tra cui un’anfora di Ippolito Rombaldoni da poco pubblicata da Claudio Paolinelli4 C. PAOLINELLI, Due anfore inedite di Ippolito Rombaldoni: «l’esponente più importante del barocco nel campo della ceramica metaurense» in Falsi e copie nella maiolica medievale e moderna: modelli, tecniche, diffusione, gusto, riconoscibilità, atti della terza Giornata di studi sulla ceramica: Bagnoregio, 11 giugno 2016, a cura di Luca Pesante, Firenze 2017, pp. 307-317. , ora in collezione privata, e due anfore nella collezione inglese di Burghley House5 G. LANG, European Ceramics at Burghley House, Stamford 1991, p. 5; M. TAVELLA, La collezione di maioliche italiane di Burghley House dal 1587 residenza della famiglia Cecil. Momenti di gloria di una dimora elisabettiana, in «Ceramicantica», II, n. 7, 1992, pp. 36-50; Mario Tavella ipotizza che facciano parte di quel gruppo di ceramiche raccolte dal Quinto Conte di Exeter, durante i quattro viaggi documentati nel Continente, 1679-81, 1683-84, 1693-1694 e 1699. Non è certo se tali manufatti fossero doni di prestigio o acquisti dettati dal proprio gusto personale. Colgo qui l’occasione per ringraziare Jon Culverhouse, curatore della Burghley House Collection, per avermi fornito informazioni e foto riguardanti le anfore. .

In particolare, il confronto delle anfore qui presentate con quelle in collezione inglese potrebbe far ipotizzare la loro appartenenza a una medesima serie e la provenienza dalla medesima bottega.

Secondo Ravanelli Guidotti le due anfore inglesi possono essere attribuite all’istoriatore urbaniese Ippolito Rombaldoni per via della soluzione cromatica adottata e dell’utilizzo delle incisioni del Tempesta6 Su Rombaldoni (Casteldurante 1619 – Urbania 1679) si veda: C. LEONARDI, Un maestro dell’istoriato Secentesco: Ippolito Rombaldoni, in “CeramicAntica”, Anno V, N. 3 (47), Marzo 1995, pp. 56-61; C. RAVANELLI GUIDOTTI, Per Ippolito Rombaldoni, in “Faenza: bollettino del Museo internazionale delle ceramiche”, n.2, 2013, pp. 24-33; G.C. BONJANI, J.T. SPIKE, Disegni, fonti, ricerche per la maiolica rinascimentale di Casteldurante, Ancora 1997; M. CELLINI (a cura di), Disegni della Biblioteca comunale di Urbania: la collezione Ubaldini: catalogo generale, Ancona 1999; R. GRESTA, Marche, in La maiolica italiana di stile compendiario. I bianchi, II, a cura di V. De Pompeis, Torino 2010, pp. 166-175, nn. 5-6; C. LEONARDI, Maiolica metaurense: rinascimentale cit, p. 104-105.; M. MORETTI, La Madonna della neve attribuita a Federico Barocci: copia o derivazione?, in Barocci in bottega, a cura di B. CLERI, Foligno 2013, pp. 181-217; C. PAOLINELLI, Due anfore inedite di Ippolito Rombaldoni cit., pp. 307-317; J. E. POOLE, A Catalogue of Italian maiolica and incised slipware in the Fitzwilliam Museum, Cambridge 1995, pp. 303-304; C. RAVANELLI GUIDOTTI, Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna, Bologna 1985, p. 233; RAVANELLI GUIDOTTI, Catalogo delle maioliche selezione dalle raccolte del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e dei Civici Musei – Pinacoteca di Brescia, in L’istoriato. Libri a stampa e maioliche italiane del Cinquecento, Faenza 1993, pp. 111-112; D. THORNTON, T. WILSON, Italian renaissance ceramics. A catalogue of the British Museum collection, pp. 589-592, n. 366; T. WILSON, Figulus et pictor: alcune osservazioni su pittori “veri” e pittori di maiolica dal Quattrocento al Settecento, in Atti: Convegno internazionale della ceramica / Centro ligure per la storia della ceramica, 37, Albisola, 2004, p. 155-163; T. WILSON, Maiolica: italian renaissance ceramics in the Metropolitan Museum of Art, New York 2016, pp. 330-331, 360.. L’attribuzione può essere messa in dubbio, in quanto le anfore inglesi presentano evidenti assonanze con la coppia di vasi qui presentati, quali la datazione – 1670, l’altezza, la soluzione cromatica policromo/monocromo con soggetti tratti dalla Gerusalemme Liberata7 Le parti monocrome di entrambe le anfore sono tratte dalla serie di incisioni realizzate da Antonio Tempesta per la Gerusalemme Liberata, la stessa serie utilizzata per la coppia di anfore qui presentate. (cfr. supra nota 3). Diversamente le parti policrome sono tratte dalla serie di incisioni create da Castello Bernardo (1557-1629) e incise da Franco Giacomo (1550-1620) a corredo della prima edizione illustrata della Gerusalemme Liberata pubblicata nel 1590 a Genova da Girolamo Bartoli. ( E. LEUSCHNER, Antonio Tempesta’s Drawings for a “Gerusalemme Liberata” in Master Drawings Vol. 37, No. 2, Summer 1999, pp. 138-155). di Tasso e lo stesso tipo di iscrizioni alla base entro un cartiglio, in cui l’episodio è riassunto con un verso liberamente parafrasato8 Una delle due anfore inglesi presenta sul lato policromo una scena tratta dal Canto II con l’iscrizione «ARGANTE MESSAGIER DEL RE D’EGITTO, GVERRA MINACCIA A GOTIFREDO INVITTO», mentre sulla parte monocroma una scena del Canto VI con il cartiglio che recita «PUGNIA ARGANTE ET ABATTE IL FRANC OTTONE DI TANCREDI A.I TROFEI. L’OMBRA SOPPONE». Nella seconda anfora è raffigurata sul lato policromo una scena del Canto IV con l’iscrizione «ARMIDA CON PREGHIER. CO. VEZZI. SUO SPOGLIA. IL CAMPO FEDEL DE PRIMO EROI», e sul lato monocromo una scena dal Canto XX, con l’iscrizione «VINTO IL SOLDAN SCIOLSE IL BVGLION DEVOTO ENTRO GERVSALEM IL SVO GRAN VOTO». ; simili sono anche la plasticità barocca, la stesura pittorica e l’uso del colore. Un’ulteriore motivazione a sostegno dell’ipotesi che queste due coppie di anfore appartengano ad una stessa serie può essere costituita dall’insieme degli episodi rappresentati che abbracciano per intero la prima parte della Gerusalemme liberata, dal Canto I al Canto VI; la presenza di scene tratte dal XIII e XX canto potrebbe invece essere indice dell’esistenza, almeno in passato, di un numero di anfore tali da illustrare tutto il poema.
Della bottega Papi si hanno testimonianze documentarie ma nessuna opera certa, al di fuori delle anfore qui presentate. La prima menzione negli studi sulla maiolica si ritrova nell’elenco dei ceramisti presenti ad Urbania compilato da Giuseppe Raffaelli nelle sue Memorie istoriche delle maioliche lavorate in Castel Durante o sia Urbania del 1846: «Più e più volte negl’istrumenti del 1500 m’occorse la fornace Papi; impressionato però che fosse da mattoni fuori di Porta del parco, non la notai; quando un Rogito del 1639, ed un vaso del 1655 m’avvertii dell’abbaglio9G. RAFFAELLI, Memorie istoriche delle maioliche lavorate in Castel Durante o sia Urbania, Fermo1846, pp. 99-100. ».
Più notizie si ritrovano nelle Istorie delle fabbriche di majoliche metaurensi e delle attinenti ad esse scritte da Giuliano Vanzolini nel 1879, in cui vengono presentate importanti notizie sulla bottega. L’autore riferisce di un vaso da farmacia con lo stemma ed il marchio «Giambattista Papi 1652» e di un vaso al Louvre con l’iscrizione «FATTO NELLA BOTTEGA DEL SIGNOR PIETRO PAPI 1667»10 G. VANZOLINI, Istorie delle fabbriche di majoliche metaurensi e delle attinenti ad esse, Pesaro 1879, p. 190 .
L’opera al Louvre è menzionata anche da Angelo Genolini 11 A. GENOLINI, Maioliche italiane. Marche e monogrammi, Milano 1881, p. 98. , il quale, pur citando la stessa firma riportata da Vanzolini, ne parla come un piatto. Questo in realtà non si trova al Louvre, e infatti i due autori sembrano aver erroneamente interpretato quanto scriveva nel 1870 il francese Albert Jacquemart, il quale dà per primo notizia di un piatto firmato da Pietro Papi12 «[…] la majolique témoigne de ce changement en nous conservant la trace des artistes qui exerçaient encore alors à Castel-Durante; l’un, Hippolito Rombaldotti, peignait le Triomphe de Flore (Louvre, numéro 291), un autre signait: Fatta in Urbania nella botega del signor Pietro Papi 1667» A. JACQUEMART, Les merveilles de la ceramique; ou, L’art de faconner et decorer les vases en terre cuite, faience, gres et porcelaine depuis les temps antiques jusqu’a nos jours, II,Paris 1870, p. 157.  . La confusione deriva con ogni probabilità dal fatto che tale opera viene citata subito dopo un piatto di Ippolito Rombaldoni effettivamente al Louvre13 Da notare che, a differenza del piatto del Rombaldoni, quello dei Papi non è associato ad alcun numero identificativo. Ringrazio la dott.ssa Françoise Barbe, curatrice del dipartimento Objets d’art del Louvre, per aver svolto una ricerca nel catalogo del museo, confermando che il piatto in questione non è presente nelle collezioni. ; di conseguenza tale esemplare rimane ad oggi di ubicazione ignota. L’opera sembra essere menzionata nelle fonti per l’ultima volta da Charles Drury Edward Fortnum nel 189614C. DRURY E. FORTNUM, Maiolica: A Historical Treatise on the glazed and enamelled earthenwares of Italy, with marks and monograms, also some notice of the Persian Damascus, Rhodian, and Hispano-Moresque wares, Oxford 1896, p. 185. Ringrazio Claudio Paolinelli per avermi segnalato questa ulteriore fonte . Lo studioso riferisce di un’opera con l’iscrizione “Fatta in Urbania nella botega del Signor Pietro Papa 1667”citandola allo stesso modo di Jacquemart, dopo il piatto del Louvre firmato da Rombaldoni.

Inoltre, parlando della ceramica a Casteldurante, Genolini scrive che «le maioliche del Rombaldotti e del Papi provano che le fabbriche di Casteldurante non andarono del pari colle altre rispetto all’epoca del decadimento»15 GENOLINI, Maioliche italiane cit., p. 99. . È importante notare che quando gli studiosi parlano dei Papi e delle firme sulle opere non si riferiscono alla bottega in generale ma a un singolo ceramista. Il Papi, a cui si riferiscono gli studiosi e maggiormente conosciuto dalle fonti, è certamente il maiolicaro Pietro Papi, vissuto nella seconda metà del Seicento, al quale è possibile attribuire le anfore qui presentate.

Un altro esponente della famiglia è Giambattista Papi, noto solo dal Vanzolini il quale descrive un vaso da farmacia «con lo stemma e il marco Giambattista Papi 1652»16 VANZOLINI, Istorie delle fabbriche cit.,p. 190. . Tuttavia, sarebbe un fatto eccezionale che su una maiolica il ceramista collochi il proprio stemma; sembra quindi più probabile ipotizzare che Giambattista Papi, certamente un componente della famiglia Papi di Urbania, fosse dedito all’arte farmaceutica e committente di questo servizio da spezieria ma non ceramista17 Per approfondimenti sulla produzione a Casteldurante di maiolica da spezieria si veda: M. MORETTI, Le maioliche da “spetiaria” di Casteldurante nel Cinquecento: monumenti per una storia della ceramica in L’arte della cura. Antichi libri di medicina, botanica e vasi da farmacia, a cura di G. C. Bojani, M. Patti, M. Tagliabracci, Urbino, Quattroventi 2005, pp. 147-174. .

In conclusione, la riscoperta di queste due splendide anfore aggiunge un importante tassello al panorama della produzione di maiolica del Seicento, quel periodo in cui secondo Raffaelli «[…]  non rimasero che innominati artisti, i quali all’infuori di alcune bambocciate, piccole istorie e immagini di Santi in bianco sopra un pallidissimo azzurro e viceversa…. non s’occupavano che di fiorami, trofei e minuti grotteschi ranci, gialli e celesti…»18 G. RAFFAELLI Memorie istoriche delle maioliche cit., p. 88. , rivalutato in anni recenti grazie all’opera storico-critica di Don Corrado Leonardi, ancora oggi punto di partenza imprescindibile per avvicinarsi agli studi sulle maioliche barocche metaurensi 19 C. LEONARDI, Maiolica metaurense: rinascimentale, barocca, neoclassica, Urbania 1996 . Il rinvenimento delle due anfore ci permette quindi di collocare a pieno titolo il maiolicaro Pietro Papi, accanto ai nomi dei più noti protagonisti della ceramica urbaniese tardo barocca: Tommaso Amantini, Ippolito Rombaldoni e Giovan Antonio e Benedetto Marfori, maiolicari-pittori, questi ultimi autori di opere di eccezionale valore artistico meritevoli di futuri approfondimenti20 Nella raccolta Marfori di Urbania nel 1687 erano presenti sei quadri del Rombaldoni, a documento della sua attività pittorica. Cfr. C. LEONARDI, Un maestro dell’istoriato Secentesco cit., pp. 56-61). Su Rombaldoni si veda supra, nota 6; su Tommaso Amantini: A. PATRIGNANI, Tommaso Amantini scultore barocco a Urbania, Urbino 2013 (con bibliografia precedente).Rispetto ad Amantini e Rombaldoni, Benedetto Marfori è ancora una personalità poco nota e studiata. Di lui si conserva una targa firmata nel Palazzo Ducale di Urbino (P. DEL POGGETTO, Galleria nazionale delle Marche e le altre collezioni nel Palazzo Ducale di Urbino, 2003, p. 331, inv. 1990 C 235) .

A questo indirizzo si può leggere l’aggiornamento della ricerca:
Romana Mastrella, Novità dal restauro delle due anfore istoriate nella bottega di Pietro Papi (Urbania 1670), “Storia dell’arte” in tempo reale, 28 marzo 2022

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