La rete del collezionismo e dell’imprenditoria artistica tra Roma e Siena nel ‘500: Federico Zuccari e Ippolito Agostini
Il primo marzo del 1585 attraccò nel porto di Livorno una nave proveniente dalla Spagna, i passeggeri dell’imbarcazione tuttavia arrivavano da ben più lontano, dalla distante isola del Kyushu, in Giappone; si trattava dell’arrivo in Italia della prima ambasciata giapponese presso il pontefice[1] (nel 1615 ne arriverà una seconda che visiterà solo Roma). L’ambasciata, pianificata da Alessandro Valignano per promuovere il progetto evangelizzatore in Sol Levante della Compagnia del Gesù e organizzata con il preciso scopo di propagandare l’operato missionario, di accumulare il maggior numero di donazioni possibili per sostenerlo economicamente e di preservare la posizione privilegiata dei gesuiti in Asia, visitò un gran numero di città tra il centro ed il nord Italia (Pisa, Firenze, Siena, Roma, Venezia, Padova, Milano tra le tante) e fu per ognuna di esse la prima occasione per entrare in contatto con una cultura così lontana dall’immaginario italiano[2].
Nello scenario dell’interesse riguardo all’isola nipponica, alle sue tradizioni ed alla sua cultura si inserisce una lettera, di cui purtroppo non conosciamo ancora l’esatta datazione[3], inviata da Federico Zuccari a Ippolito Agostini, signore di Caldana, nel grossetano, e Balì dell’ordine di Santo Stefano[4]. In questa missiva il pittore marchigiano sembra ringraziare il noto collezionista senese di avergli prestato, anche per tramite del collega Cristoforo Roncalli, alcuni abiti giapponesi che «per la novità e stravagantia loro sono degni d’ogni honoratissimo studio». Nella seconda parte della lettera si interessa invece della condizione della cava di marmo di Caldana; il territorio era stato assegnato come feudo alla famiglia Agostini da Cosimo de’ Medici e la sua produzione di marmo rappresentava uno degli interessi economici più rilevanti per Ippolito. Zuccari, oltre ad interessarsi della cava e a lamentarsi della sua distanza da Roma, chiede all’Agostini un campione di marmo da poter riprodurre nelle sue opere, al fine di promuovere la qualità del materiale prodotto a Caldana (Fig.1).
Questioni di date e di traiettorie biografiche
Questo è in breve il contenuto della lettera, che però fa sorgere diversi interrogativi; nell’epistola manca l’anno in cui essa è stata spedita, le uniche informazioni che abbiamo sono il luogo di partenza, Roma, e il giorno, il primo dicembre. Si può con ragionevole sicurezza affermare che l’anno debba essere posteriore alla visita dell’ambasciata a Roma e a Siena. Proprio la nascita dell’interesse di Ippolito Agostini verso il Giappone potrebbe derivare dalla sosta dell’ambasciata a Siena, tra il 14 e il 17 marzo del 1585[5], dato che il Balì, oltre a partecipare ai festeggiamenti organizzati per l’occasione, fu uno dei due nobili senesi che ricevette il privilegio di poter pranzare con gli ambasciatori nel collegio dei gesuiti di Siena[6]. Sulla data va inoltre aggiunto che Federico Zuccari fu espulso dallo Stato della Chiesa nel 1581, a seguito di un processo per “eccesso” causato dall’aver disegnato un cartone satirico che aveva suscitato le ire di Gregorio XIII, e gli fu permesso di rientrare a Roma solo nel novembre 1583; nel settembre del 1585 invece parte per la Spagna per una commissione all’Escorial da parte di Filippo II e vi rimane fino al 1588 per poi tornare dopo diverse peregrinazioni a Roma nel 1589[7]. Racchiudendo la possibile data di invio della lettera nel periodo che va dal 1580 alla fine del secolo le possibilità si restringono agli anni in cui Zuccari si trova a Roma nel periodo di dicembre, ciò ad esempio esclude la possibilità che la lettera sia del 1585, a meno di una postdatazione dell’epistola da parte di Zuccari stesso, che sono di conseguenza il 1580, il 1583, il 1584 e dopo il 1589. In virtù dell’episodio già descritto della visita dell’ambasciata a Siena anche le date antecedenti al 1585 sono da considerarsi probabilmente non verosimili, di conseguenza la lettera può essere stata inviata solo dopo il 1589.
Molto più complessa è la ricostruzione dell’origine del rapporto tra Ippolito Agostini e Federico Zuccari: il pittore marchigiano non operò mai a Siena ma il mecenate senese visitò spesso Roma e soprattutto intrattenne rapporti stretti con molti membri della sua “Accademia” che si erano trasferiti nell’Urbe. Tra essi un contatto interessante può essere il medico senese Giulio Mancini, scrittore d’arte e collezionista che già prima di iniziare i propri studi in medicina faceva parte del circolo dell’Agostini[8]. Giulio Mancini conosceva Zuccari e ne parla nella sua opera Alcune Considerationi Appartenenti alla pittura come di Diletto di un Gentilhuomo ed il medico senese si trasferì a Roma per occupare la carica di medico presso l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia nel 1592[9] e potrebbe essere lui un punto di collegamento tra i due.
Sempre riguardo ai possibili collegamenti tra Zuccari e Ippolito Agostini è doveroso citare la figura dell’artista Cristoforo Roncalli; Il Pomarancio viene citato da Zuccari nella lettera al senese, anche lui viene ringraziato dal pittore marchigiano, di conseguenza non vi è dubbio che i due si conoscessero e fossero in contatto l’uno con l’altro. Roncalli inoltre viene definito dal Bartalini come un membro del circolo dell’Agostini fin dal 1576, anno in cui viene commissionata al Pomarancio, appena arrivato da Volterra a Siena, la pala per l’altare di Sant’Antonio Abate in Duomo. Nel 1578 il Roncalli si sposta definitivamente a Roma, dove entra in contatto con lo stile zuccaresco che si può notare negli affreschi da lui realizzati nella galleria del palazzo Agostini, compiuti probabilmente nel 1579 nel corso di un suo soggiorno a Siena[10]. Fin da questa data si può ipotizzare quindi un rapporto tra i due pittori, sicuramente consolidato negli anni ottanta del Cinquecento come si può vedere dal tenore della lettera in appendice. Anche Roncalli, inoltre, conosceva sicuramente Giulio Mancini, entrambi vissero a Siena nello stesso periodo e frequentarono palazzo Agostini, e il Pomarancio sarà, come d’obbligo, tra gli artisti viventi menzionati nelle Considerazioni del medico senese. Appaiono ora meglio definiti i possibili intrecci che portarono Federico Zuccari a interagire con Ippolito Agostini.
In attesa di ulteriori sviluppi della ricerca, ci si può chiedere ancora quale uso potesse fare Federico Zuccari di abiti giapponesi. Il pensiero non può non andare alla veste da cappuccino prestata da Gentileschi a Caravaggio e da lui restituita come da deposizione al celebre processo del 1603.
Era pratica comune da parte dei pittori procurarsi esemplari reali di abiti da rappresentare nelle proprie opere, pratica documentata anche per il Roncalli, ad esempio attraverso l’uso di abiti francescani nel San Francesco che porta la croce[11].
Si deve pensare alla lettera anche come un documento che attesta l’interesse per il ritratto orientale, genere che avrà una fortuna attestata soprattutto a partire dal secondo decennio del Seicento, quando Archita Ricci da Urbino, dipinge per i Borghese, oltre che figure di Turche, anche ritratti di ambasciatori orientali menzionati in delle note di spesa e ad oggi conservati nella Collezione Borghese a Roma[12] (Fig. 2).
Collezionismo dalle Indie orientali
Occorre soffermarsi brevemente ancora sull’aspetto del collezionismo di oggetti orientali messo in atto dall’Agostini[13].
Il possesso degli abiti, attestato dalla lettera di Zuccari, si inserisce in un più ampio progetto di collezionismo non legato unicamente ad opere d’arte ma anche a oggetti provenienti da paesi lontani, naturalia di vario genere, animali impagliati, pezzi degli stessi o piante, e più in generale mirabilia, oggetti rari e stravaganti.
All’interno dello spazio riservato a questa collezione, definito nelle lettere dell’Agostini e nel suo testamento galleria superiore e galleria inferiore, gli abiti giapponesi non sono gli unici oggetti di provenienza nipponica, vi sono anche “più pezzi d’intagli di carte strappati con più pezzi di fogli del Giappone” e alcuni uccelli impagliati donati all’Agostini direttamente dai giovani giapponesi durante la loro sosta a Siena[14]. Probabilmente poi molti pezzi della collezione sono andati perduti, vista l’assenza degli abiti nell’inventario successivo alla morte dell’Agostini; considerando i suoi stretti rapporti con i gesuiti, che portavano notizie delle Indie e oggetti rari dalle stesse, la sezione “asiatica” della collezione poteva essere più vasta[15]. All’interno della sua collezione in ogni caso gli oggetti provenienti dalle Indie, nome con il quale venivano intese tutte le terre di recente scoperta, sono innumerevoli e sono presenti anche nelle varie missive che i suoi intermediari inviavano all’Agostini per informarlo del prezzo degli oggetti che avrebbero potuto suscitare l’interesse del mecenate senese[16].
Gli interessi da collezionista del signore di Caldana erano probabilmente conosciuti negli ambienti romani frequentati da Federico Zuccari, visto anche il grande sforzo di mecenatismo artistico ed architettonico compiuto dall’Agostini a Siena, ed è quindi in questo senso che a mio avviso va inquadrata questa lettera, in una rete di contatti e scambi epistolari che rivela una penisola fluida e interconnessa, sia per quanto riguarda la circolazione di informazione che per i network artistici, letterari e scientifici.
Appendice
[Tra parentesi quadre la parte del documento già trascritta da Roberto Bartalini]
Anno sconosciuto [probabilmente post 1589], Roma, primo dicembre,
Lettera di Federico Zuccari a Ippolito Agostini
Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Ms. D. VII. 5, c. 54 r.
Molto Illustre Signor Mio Osservandissimo
[Per la gratissima di Vostra Signoria Illustre intendo che mi ringratia di cosa che io ho a ringratiare Vostra Signoria e messer Cristofano Roncali, di avere hauto appresso di me cosa che li sia stata di piacere come quelli abiti Giapponesi, che per la novità e stravagantia loro sono degni d’ogni honoratissimo studio, come quelli di Vostra Signoria Illustre. Vorrei havere cosa di maggio gusto e maggior perfettione per servirla come li son tenuto per le molte sue amorevolezze e cortesie usatomi di molto favore, ne mi si rappresentera mai occasione che prontamente non prochuri di servirla, com’è debito mio].
Circa la causa de marmi mischi di Vostra Signoria vorrei per mio particolare fosse più vicina a Roma, che n’arrei a quest’hora procurato qualche mostra almeno per invogliare i grandi alle grande imprese, che tal’hora occorrano, e se mi verra occasione nobile non restaro rammentarmene e proporre, persuadendomi che la causa cresca è in bellezza è in grandezza di pezzi grandi da poterne fare ogni gran tavola come ancora collonne e se l’è così Vostra Signoria mi favorischi farmi sapere le maggior saldezze come ancora la spesa de la cava, e conditura al mare, e se io potessi in qualche maniera haverne qua una piccola mostra per benefitio della cava per potere con qualche sustantia trattare l’havrei molto a caro; resta che io bascia le mani a Vostra Signoria Illustre come faccio, con offerirmeli per sempre in tutto che possa e vaglia e pregarli dal Santo Iddio ogni salute e maggior suo contento.
Di Roma il primo Decembre
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[1] Sull’ambasciata vedasi GUNJI 1985; COOPER 2021; MASSARELLA 2013; TRIPEPI 2022; LAVENIA 2022, pp. 191-207; ROMANO 2020, pp. 79-97.
[2] Sulle visite dell’ambasciata nelle diverse città italiane vedasi BOSI 2016, pp. 230-243; diversi lavori di Carlo Pelliccia tra cui: PELLICCIA 2015, pp. 41-55; PELLICCIA 2018a, pp. 104-123; PELLICCIA 2018b, pp. 213-227; PELLICCIA 2018c, pp. 60-75; PELLICCIA 2020, pp. 437-466; PELLICCIA 2022, pp. 91-118.
[3] La lettera è stata pubblicata in BARTALINI 1995, pp. 1492-93. Il documento, tuttavia, non è stato pubblicato interamente e manca di oltre metà della lettera, qui invece trascritta per intero.
[4] Agostini diventa cavaliere di Santo Stefano il 3 agosto del 1568 e nello stesso giorno viene anche istituito il baliaggio di Siena ed a lui assegnato da Cosimo I. Per il ruolo dei cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano vedi ANGIOLINI 1991, pp. 875-899. Sugli Agostini di Caldana si veda: CAPORALI 2023. Sul bailiaggio vedi CAPORALI 2018, pp. 69–84.
[5] Sulla visita dell’ambasciata a Siena: SANESI, 1894, pp. 124-130.
[6] Archivio di Stato di Firenze (ASF), Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, filza 1118, reg. 499, Libro del padre provveditore, cc. 12-13, sul tema SANGALLI 2018, pp. 44-45.
[7] CAVAZZINI 2020, pp. 66-71.
[8] Sull’Accademia di Ippolito Agostini: BARTALINI 1995; BARTALINI 1997, pp. 145-156; SANI 2008, pp. 241-270; SANI 2009, pp. 111-140.
[9] Su Giulio Mancini: DE RENZI 2007.
[10] Su Cristoforo Roncalli e sui suoi spostamenti: AMBROSINI MASSARI 2017; MORETTI 2016, pp. 183-200; SRICCHIA SANTORO 1980, pp. 57-66.
[11] Cfr. BOLOGNA 1987, pp. 159-177; PUPILLO 2004, pp.79-94.
[12] DELLA PERGOLA 1954, pp. 138–9.
[13] Sulla creazione di gallerie, musei e collezione è sempre utile: FINDLEN 1994, nel testo viene anche citato brevemente Ippolito Agostini, definito come amico del collezionista e naturalista Antonio Giganti e di Ulisse Aldrovandi. Sulle relazioni tra collezionismo e nuovi mondi: OLMI 1983, pp. 233-269; MARKEY-HORODOWICH 2017. Sullo stesso tema nel contesto toscano: MARKEY 2016
[14] Archivio di Stato di Siena (ASS), Curia del Placito, 275, c. 106 v., anche in SANI 2008, p. 266.
La testimonianza del dono degli uccelli si può riscontrare negli scritti di Antonio Giganti, amico e collaboratore dell’Agostini e che riceve da lui gli uccelli in dono: “Furono detti uccelli lasciati in Siena al Signor Hippolito Agostini Balì di Santo Stefano dalli Signori Giapponesi, il quale me li mandò in dono come ha fatto molte altre cose delle supra scritte”, Milano Bibliotaca Ambrosiana (MBA), ms. S. 85 sup., c. 251 r. Su Antonio Giganti come collezionista si veda anche FRAGNITO 1982. Sulla presenza in Italia di naturalia nipponici vedasi il recentissimo ANDRETTA 2023.
[15] Il rapporto privilegiato tra Ippolito Agostini e la Compagnia è stato già accennato in precedenza ma va aggiunto che nel libro del padre provveditore si aggiunge che l’Agostini ha sovvenzionato anche diverse operazioni di restauro ed ampliamento del collegio gesuita senese: «ci ha fatto abassar la sagrestia et fatto fare una stanza a canto a quella che potrà servir per capella per altre cose», ASF, Libro del padre provveditore, c. 13 r.; SANGALLI 2018, p. 45.
[16] Ad esempio, nella Nota delle robbe et prezzi delle cose del Guiducci servite per il Signore Bali di Siena, BCI, D. VII. 5, c. 66r.-67r., vengono riportati oggetti come «Una [tufteria] dell’indie, uno scetro indiano, una Cuffia indiana, due rasoi dell’indie di pietra», e in precedenza «Corno dilla gazella s’è lungo è da comprarsi per giusto prezzo, con la sua borsa indiana».