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Per una nuova lettura delle sante regine ed imperatrici nella chiesa di sant’Agostino a Modena: Pantheon Atestinum

Sara Baccanelli

Scritto da:

Sara Baccanelli

L’argomento qui trattato è stato affrontato in passato, con diverse metodologie, da diversi studiosi tra cui Sonia Cavicchioli, Elena Corradini, Graziella Polidori, Elio Garzillo, Bianca Belardinelli, Paolo Golinelli, Anna Rosa Venturi Barbolini, Roberta Iotti e Grazia Biondi, i quali hanno richiamato l’attenzione su un luogo emblematico della città di Modena aprendo la pista per nuovi studi iconologici. Chi scrive si è focalizzata sull’analisi delle otto statue in stucco presenti nella navata della chiesa raffiguranti sante regine ed imperatrici di epoca medievale, proponendone una nuova chiave di lettura attraverso cui poter aggiornare la decodifica dell’intero impianto decorativo della chiesa. A differenza degli studi precedenti che non avevano approfondito le agiografie delle singole sante, il presente contributo evidenzia il legame familiare che le collega. L’apparato decorativo di cui si parla infatti ha come tema portante la gloria della casata estense e di tutti i santi delle nobili famiglie europee ritenute imparentate con la famiglia d’Este. Grazie alla traduzione delle singole epigrafi che accompagnano le statue delle sante – operazione mai svolta puntualmente prima d’ora – e allo studio dell’opera manoscritta di Domenico Gamberti, ideatore dell’apparato iconografico cui le sante appartengono, si è proceduto con l’analisi di racconti agiografici medievali e con l’approfondimento degli studi di esperti in agiografia quali, ad esempio, Alessandra Bartolomei Romagnoli e Gábor Klaniczay, ritrovando in essi le medesime sante presenti nella chiesa modenese. Lo studio degli apparati presenti nella chiesa di Sant’Agostino – epigrafi, statue e scene a bassorilievo- unito all’approfondimento delle fonti medievali e moderne, insieme con gli studi contemporanei di esperti di letteratura agiografica, attesta che il programma iconografico ideato dal gesuita Domenico Gamberti si basa su precise fonti agiografiche scelte al fine di legittimare l’ascesa della prima, ed unica, duchessa reggente di Modena: Laura Martinozzi d’Este.
Nel 1663, in occasione dei funerali del duca Alfonso IV, la chiesa di Sant’Agostino a Modena subisce un ammodernamento e diviene pantheon della famiglia estense, Pantheon Atestinum. Laura Martinozzi d’Este, vedova di Alfonso IV e prima duchessa reggente nella storia del ducato modenese, non commissiona un impianto decorativo effimero, come era in uso fare nelle corti europee, bensì uno stabile e ancora oggi visibile 1. Tema centrale dell’ammodernamento è la gloria della casata estense. L’interno della chiesa, a navata unica, presenta una decorazione perfettamente omogenea e caratterizzata dalla compresenza di dipinti, affreschi, statue in stucco intere e a mezzo busto, raffiguranti santi e sante appartenenti alla famiglia estense o ad essa imparentati, tutti accompagnati da una breve epigrafe che ne esplicita l’identità (Fig.1). Ideatore di questo nuovo allestimento è il gesuita Domenico Gamberti. Studioso ed esperto di araldica, Gamberti era stato chiamato a Modena nel 1659 da Alfonso IV per ideare la decorazione effimera per i funerali di suo padre, il duca Francesco I d’Este. In occasione di tale evento, oltre agli apparati effimeri, Domenico Gamberti aveva scritto e dato alle stampe L’Idea di un prencipe et eroe christiano, volume nel quale il gesuita glorifica la memoria del duca Francesco I e descrive minuziosamente l’apparato mobile da lui ideato per i funerali di questo2 (Fig. 2). Tre anni dopo, Gamberti crea l’apparato stabile per i funerali di Alfonso IV e scrive Aquila grande piena e varia di piume, opera per il cui titolo il gesuita utilizza lo specifico passo di Ezechiele 17,3. Sappiamo che in quest’opera l’autore aveva approfondito minuziosamente tutti i rapporti di parentela intercorrenti tra la famiglia estense e le più importanti corti europee 3. Strumento necessario per la creazione di tali legami di parentela era la stipula di accordi matrimoniali e, per questo motivo, le donne ricoprivano un ruolo fondamentale. Di tale opera rimasta manoscritta restano, purtroppo, solamente i primi sedici fogli e parte di un albero genealogico grazie ai quali è stato, però, possibile decodificare parte della decorazione stabile di Sant’Agostino di cui ora brevemente parleremo 4.

Fig. 1. Interno della chiesa di Sant’Agostino, 1662-1663, Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte di Modena.
Fig. 2. L. Tinti su disegno di F. Stringa, Antiporta, acquaforte, in D. Gamberti, Idea di un prencipe et eroe christiano, Modena, Bartolomeo Soliani, 1659.

Lungo le pareti della navata unica della chiesa sono collocate statue in stucco a figura intera raffiguranti otto sante donne imperatrici del Sacro Romano Impero e regine europee, opere di Giovanni Battista Barberini e Luca Colomba 5. Le otto statue presentano ai loro piedi altrettanti cartigli che ne chiarificano l’identità e, al di sopra dei loro capi, vi sono otto bassorilievi che raffigurano scene delle vite delle sante. Una presenza femminile in posizione eminente è già di per sé straordinaria e merita attenzione. C’è dunque da chiedersi per quale motivo Domenico Gamberti scelse per il Pantheon Atestinum proprio quelle specifiche sante e per quale ragione esse furono così disposte. Se il motivo dell’ammodernamento di Sant’Agostino è legato ai funerali del duca Alfonso IV, la committenza di tale opera si deve a Laura Martinozzi d’Este divenuta per esplicita volontà del marito duchessa reggente plenipotenziaria per il figlio Francesco II. I funerali di Alfonso IV diventano così pretesto non solo per glorificare la casata d’Este con i suoi legami di parentela tra le coorti d’Europa, ma anche, e soprattutto, opportunità per la duchessa di presentarsi chiaramente come legittima ed autorevole reggente del ducato. Le sante presenti nella navata, infatti, sono realmente tra loro imparentate ed appartengono alla tradizione agiografica ottoniana contraddistinta dal concetto di santità familiare ereditaria trasmessa per via materna, le cui radici affondano nell’agiografia di Matilde di Sassonia, moglie di Enrico I e madre di Ottone I. Discendendo la stirpe estense dagli Obertenghi facenti capo proprio ad Ottone I, la scelta delle sante da parte di Domenico Gamberti risulta essere precisa e puntuale. Collocando nella decorazione stabile del Pantheon Atestinum le imperatrici del Sacro Romano Impero di stirpe ottoniana, Gamberti celebra l’antichità e la nobiltà della casata d’Este. Inoltre, per mezzo di esse, portatrici di santità ereditaria e spesso reggenti per i figli minorenni, come si vedrà di seguito, viene giustificato e riconosciuto il nuovo ruolo politico assunto da Laura Martinozzi alla morte del marito.

Partendo dallo pseudo transetto, luogo rilevante in cui doveva essere posto il catafalco di Alfonso IV e, per questo, caratterizzato dalla presenza delle quattro statue raffiguranti le Virtù Cardinali, sul lato sinistro in prossimità della personificazione in stucco della virtù della Fortezza (Fig. 3), troviamo posta proprio Santa Matilde Imperatrice di Sassonia, colei la cui agiografia diede il via alle agiografie ottoniane (Fig. 4). L’epigrafe posta sotto alla sua statua recita: «Santa Matilde Imperatrice, bisnonna materna di Ugo III marchese d’Este e di Toscana, liberata dal nodo coniugale di Enrico I, seguiti i funerali del marito (letteralmente «di lui»), dal carcere della mortalità raggiunse gli immortali nell’anno 973» 6. Santa Matilde era stata citata dal medesimo Gamberti nella Succinta Relazione presente nell’orazione funebre scritta dal gesuita per i funerali di Alfonso IV ed è anche presente nella parte di albero genealogico rimasto manoscritto dell’Aquila grande. Nell’albero la santa si trova tra gli antenati più antichi, in prossimità di S. Witikindo condottiero convertitosi al cristianesimo dopo una sconfitta subita da Carlo Magno, di cui sappiamo Matilde era realmente discendente. Nel bassorilievo di Santa Matilde, posto al di sopra della statua a figura intera viene raffigurata la scena in cui la santa, durante le esequie del marito Enrico I, impartisce ai figli la lezione che dà il via al suo ruolo di madre plenipotenziaria. La lezione altro non è che un ammonimento: Matilde ricorda ai figli che nella vita tutto è transitorio, anche la vita stessa, e che ogni gloria e potere mondano avranno una fine poiché, come scrive l’Evangelista Luca «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» 7.

Fig. 3. L. Colomba (?), La Fortezza, 1662- 63, Chiesa di Sant’Agostino, Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte di Modena.
Fig. 4. G.B. Barberini, Santa Matilde Imperatrice, stucco, 1662- 63, Chiesa di Sant’Agostino, Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte di Modena.

Posta di fronte a Santa Matilde, nella parete di destra della navata, subito dopo la virtù della Temperanza (Fig. 5) vi è Santa Adelaide Imperatrice, moglie in seconde nozze di Ottone I, figlio di Matilde e colui il quale garantì e permise la nascita della stirpe estense (Fig. 6). «Santa Adelaide regina ed imperatrice, nonna materna di Folco I marchese d’Este conte di Friburgo, liberata dal vincolo coniugale del re Lotario e dall’iniquo carcere di Berengario, sposata ad Ottone in seconde nozze, si unì in terze nozze all’Agnello nell’anno 1000». Nella scena a basso rilievo è narrato l’episodio della fuga della santa dalla fortezza del Garda. Sebbene le narrazioni di questo episodio della vita della santa si differenzino un poco tra loro nel raccontare in quale modo Adelaide riuscì a fuggire dalla fortezza, esse tuttavia concordano nel porre l’incontro con Ottone I subito dopo la fuga riuscita. La scena raffigura, quindi, l’evento dal quale scaturì l’incontro che portò Adelaide a divenire ereditaria della santità della suocera e depositaria di essa per la successiva imperatrice della famiglia.

Fig. 5. L. Colomba (?), La Temperanza, 1662- 63, Chiesa di Sant’Agostino, Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte di Modena.

Nel secondo colonnato di destra vi è Santa Cunegonda la quale ricoprì il ruolo di Imperatrice del Sacro Romano Impero Germanico prima di Matilde ed Adelaide. «Santa Cunegonda imperatrice, sorella della nonna di Guelfo VI d’Este duca di Baviera, moglie vergine di Enrico II, sotto il dominio del fuoco controllò il freddo, accusato malignamente il suo pudore, si unì agli astri nel 1025.» Moglie di Enrico duca di Baviera successore dell’imperatore Ottone III, nipote di Santa Adelaide, con il nome di Enrico II, Cunegonda non ebbe mai figli. Nel testo Cunegonda Imperatrix Henrici II Uxor Vita Operaque Additamentum, riportato all’interno della Patrologia Latina di Jacques Paul Migne viene descritta la scena della vita di Cunegonda raffigurata nel bassorilievo del Pantheon Atestinum, nella quale la Santa, a seguito di false accuse mosse nei suoi confronti, secondo cui essa aveva tradito il marito Enrico ed infranto il voto di verginità, manifesta la propria innocenza camminando sopra legni infuocati e non bruciandosi. Dando prova della sua fede e della sua verità, l’episodio del miracolo del fuoco rivela la santità di Cunegonda, santità che, in assenza di eredi diretti, verrà trasmessa ad un’erede del titolo, ossia una futura imperatrice del Sacro Romano Impero. Erede di Cunegonda è Agnese della stirpe di Franconia. Posta di fronte a lei sul lato destro della navata, Agnese sarà l’ultima Imperatrice del Sacro Romano Impero. «Santa Agnese imperatrice, nonna materna di Ugo V marchese d’Este e di Toscana, rimasta vedova del marito Enrico III, minacciata egualmente dalle diverse parti dell’impero malvestita peregrina fino a Roma, cittadina del cielo nel 1077.» Divenuta reggente dell’Impero alla morte del marito Enrico III a nome del figlio Enrico IV di soli sei anni, Agnese si scontrerà con il malcontento dei principi tedeschi a motivo della sua posizione e concluderà poi la sua esistenza terrena dopo essersi ritirata a vita religiosa. Purtroppo, a causa della difficoltà riscontrata nel trovare materiale agiografico dettagliato riguardante Santa Agnese, ci riserviamo di commentare in una sede prossima il bassorilievo presente nella chiesa di Sant’Agostino e, pertanto, ci rimettiamo alla lettura fatta in precedenza di questa scena che vede la Santa come pellegrina in procinto di entrare scalza nella città di Roma.

Fig. 6. G.B. Barberini, Santa Adelaide Imperatrice, stucco, 1662- 63, Chiesa di Sant’Agostino, Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte di Modena.

Le ultime quattro sante presenti in chiesa, non più imperatrici ma regine, appartengono a diverse casate regnanti d’Europa. La prima, Santa Margherita, introduce la famiglia reale di Scozia e di Inghilterra. «Santa Margherita, Regina di Scozia, cugina di Folco II marchese d’Este, a seguito dello scampato naufragio, viene presa in sposa con l’anello nuziale da Malcom III, sotto la guida/protezione di Dio adempie pienamente il corso della vita, prese il largo dalla terra nel 1097». Nata in Ungheria, Margherita è figlia di Edoardo l’Esule, nipote di Edoardo il Confessore, e di Agatha, ritenuta nella Chronicle of Florence of Worcester figlia del fratello dell’imperatore Enrico II -marito di Santa Cunegonda- e viene educata alla corte di Santo Stefano. Dopo essere fuggita dall’Inghilterra, dove aveva accompagnato il padre ed un fratello, trova ospitalità in Scozia presso il Re Malcom, del quale diviene poi moglie. La scena raffigurata nel bassorilievo in Sant’Agostino non rappresenta la morte di Margherita dovuta ad un naufragio, come invece sostenuto in precedenti analisi, ma, come indicato anche dall’epigrafe, il momento in cui Santa Margherita sopravvive alla burrasca incontrata nel viaggio che, dall’Inghilterra, la condusse in Scozia. Sappiamo infatti che la Santa non morì a seguito di questa tempesta ma che, anzi, questo episodio fu l’inizio della nuova vita della Santa in Scozia come regina e madre. Figlia di Santa Margherita di Scozia, e di fronte a lei posta, nel primo pilastro di destra entrando in chiesa vi è Santa Matilde Regina d’Inghilterra. «Santa Matilde regina d’Inghilterra, cugina di Obizio IV marchese d’Este e di Milano, con la sacra disciplina di vita, la Pietà, si sposa con Enrico I, ottiene il regno celeste grazie al pio servizio nei confronti dei lebbrosi nel 1118». Sulla figura di Santa Matilde, purtroppo, si sono riusciti a trovare riferimenti solamente alla biografia della madre che lei stessa commissionò. Nel bassorilievo la santa è raffigurata al di fuori di un palazzo. Vestita di un abito lungo e con la corona sul capo, Margherita è accompagnata da un bambino che la segue con un vassoio sul quale non intuiamo cosa vi sia posto. I due si dirigono in prossimità di tre uomini poveri ed ammalati 8.

Posta in controfacciata, e presente nell’albero genealogico dell’Aquila Grande, a destra della porta d’ingresso, vi è Santa Cunegonda Regina di Polonia, appartenente alla famiglia reale d’Ungheria, nella cui corte, regnante Re Stefano, era stata educata anche Margherita regina di Scozia. «Santa Cunegonda regina di Polonia, sorella della bisnonna di Aldovrandino marchese d’Este rimasta vergine nel matrimonio con Boleslao e (entrata) in convento di S. Francesco, vincitrice dei Tartari, la palma (le) è donata nel 1292». Appartenente ad una famiglia distintasi tra l’XI e il XIV per l’elevato numero di santi nati nella famiglia reale, e ampiamente glorificata nello stesso Pantheon Atestinum, sposa Boleslao V re di Polonia e con lui fa voto di castità. Rimasta vedova del marito diviene monaca francescana e, come raffigurato nel bassorilievo sopra di lei, episodio importante della sua nuova vita monastica è sicuramente quello nel quale riuscì a mettere in salvo le consorelle dai Tartari nella Rocca di Pienina.
Ultima Santa raffigurata nella navata di Sant’Agostino è Santa Elisabetta Regina del Portogallo. Ubicata anch’essa in controfacciata e presente nell’albero genealogico manoscritto, appartiene alla famiglia reale spagnola e portoghese ed è imparentata per via materna con la famiglia reale d’Ungheria. «Santa Elisabetta regina del Portogallo, seconda bisarcavola materna di Alfonso IV nono duca di Modena e Reggio, con l’intenzione di tenere nascosta al marito Dionisio l’offerta che dava ai poveretti genera rose dalle monete, ottiene le stelle dalle rose nel 1336». Figlia del re di Sicilia Manfredi e nipote dell’imperatore Federico II, venne chiamata Elisabetta in onore di Santa Elisabetta d’Ungheria, sua parente. Sia Il Grande libro dei Santi che la Bibliotheca Sanctorum riportano che Santa Elisabetta d’Ungheria era una lontana zia di Elisabetta di Portogallo; tuttavia, in questi testi, non viene esplicitato quale fosse l’effettivo grado di parentela. Lo stesso Domenico Gamberti, nell’albero genealogico manoscritto scrive che la Santa era imparentata con Elisabetta d’Ungheria ma il gesuita lascia uno spazio bianco là dove doveva essere scritto il nome della parente che univa le due. È Andrè Vauchez a scrivere: «Si noti la frequenza del nome Elisabetta fra le sante donne di quella famiglia. Il nome si diffuse poi in Spagna dopo il matrimonio di Violante, sorella di Santa Elisabetta d’Ungheria, con Giacomo I d’Aragona, la cui pronipote Elisabetta o Isabella (1282- 1336), regina del Portogallo, fu venerata come santa»9 e grazie a questa affermazione, sapendo che Violante/Iolanda di Ungheria e Giacomo I d’Aragona erano genitori di Pietro III, padre di Elisabetta, comprendiamo che la parente prossima ungherese doveva essere proprio la nonna Violante. Nota per il suo rifiuto delle ricchezze e per aver condotto una vita monacale anche se maritata, Elisabetta differisce dalle altre sante sino ad ora citate. Essa, infatti, non è amata dal marito, spesso viene tradita e, inoltre, le sue azioni caritatevoli sono mal viste dal coniuge. Nel bassorilievo soprastante si riporta la scena del miracolo delle rose, attributo della santa, nel quale Elisabetta, scoperta dal consorte mentre era intenta fare la carità ai poveri, tramuta i beni in rose cosicché egli non scopra la vera natura della sua passeggiata. Infine, in controfacciata al di sopra del portale d’ingresso, tra le due epigrafi (Fig. 7) che descrivono brevemente l’apparato decorativo evocando le azioni dei due mecenati Alfonso IV e Laura Martinozzi, vi è un’aquila in stucco che regge un cartiglio con scritto il passo di Ezechiele 17, 3 (Fig. 8). L’aquila rappresenta sia lo stemma estense, dalla fondazione della stirpe con Alberto Azzo per volere dello stesso Ottone I, sia lo stemma imperiale. Il versetto utilizzato è lo stesso scelto dal gesuita come titolo dell’opera Aquila grande, ma è modificato nell’ultima sua parola: «Plena plumis atque aetate».

Fig. 7. Controfacciata, 1662- 63, Chiesa di Sant’Agostino, Modena.
Fig. 8. Aquila plena plumis atque aetate, particolare della Controfacciata, 1662- 63, Chiesa di Sant’Agostino, Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte di Modena.

Nella Succinta relatione Domenico Gamberti descrive questa parte di decorazione citando correttamente il passo di Ezechiele, scrivendo plena plumis et varietate e segnala correttamente come nota al testo, in riferimento alla sua citazione, «Ezec. 17.1.3». Infatti, il testo di Ezechiele della Nova Vulgata recita: «et dices: Haec dicit Dominus Deus:/ Aquila grandis/ magnarum alarum,/ longo pennarum ductu,/ plena plumis et varietate». A seguito degli studi condotti sui testi di Domenico Gamberti e sulle scelte iconologiche attuate per l’ammodernamento del 1663, riteniamo che con il termine aetas è possibile che l’autore abbia voluto sottolineare in chiesa la forza e l’antichità della stirpe estense, più che la varietà dei suoi legami di parentela. Infatti, la chiesa di Sant’Agostino, luogo della gloria estense, poteva essere ammirata solo se ci si recava in visita a Modena in quanto ospiti del ducato e, quindi, in una posizione di inferiorità nei confronti della casata dominante. L’Aquila grande, invece, a motivo della sua natura testuale sarebbe stata destinata alle corti europee. Crediamo che per questo, Gamberti, abbia assecondato la filologia del testo biblico compiendo in realtà un’azione di captatio benevolentiae. La posizione così importante all’interno dell’impianto decorativo indica come il simbolo dell’aquila con le ali spiegate unita allo specifico passo di Ezechiele, modificato nell’ultima sua parola, possa essere considerata la chiave di lettura che permette di interpretare tutto l’apparato decorativo del 1663. Ci siamo quindi chiesti per quale motivo Domenico Gamberti scelse questo specifico passo, dal momento che rappresentazioni maestose di aquile si trovano anche in altri passi della Bibbia (Gb, 9, 26; Sal, 103, 5). Riteniamo sia importante sottolineare qui i termini usati dal profeta Ezechiele nel secondo versetto del capitolo diciassette: חִידָ֖ה (chidah) e מָשָׁ֑ל (mashal), διήγημα e παραβολὴν, aenigma e parabolam, enigma e parabola. Il capitolo diciassettesimo di Ezechiele inizia infatti così: «1 Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore: 2Figlio dell’uomo, proponi un enigma e racconta una parabola alla casa d’Israele. 3Tu dirai: Così dice il Signore Dio: […]». La parabola delle due aquile viene dettata da Dio al profeta e, per farlo, è Dio stesso ad utilizzare i termini propri del racconto esemplare, מָשָׁ֑ל, e dell’indovinello sapienziale, חִידָ֖ה. La parabola, già nei termini con cui Dio stesso la definisce, è quindi un rebus, un crittogramma da decifrare proposto, per mezzo di un profeta, al popolo di Israele 10. Pensiamo che anche per questo motivo Domenico Gamberti scelse questo passo per attingerne il titolo delle sue opere. Il versetto, già di per sé criptico perché non contestualizzato, descrive un’aquila grande e magnifica ed appartiene ad una parabola enigmatica presentata da Dio come una sfida per l’uomo, in particolare per il popolo eletto d’Israele. In quest’ottica, crediamo che la modifica del versetto di Ezechiele, che filologicamente sottolinea la diversità e la varietà delle piume, e quindi delle parentele estensi, evidenziasse ancor di più agli occhi dei contemporanei la gloria e l’eternità che il Pantheon Atestinum si proponeva di garantire alla casata estense per mezzo della continuità garantita dalla duchessa reggente Laura Martinozzi d’Este.
In conclusione, seguendo l’ordine cronologico e a partire dallo pseudo transetto scendendo verso l’ingresso della chiesa, possiamo affermare che Domenico Gamberti dispose lungo la navata sante tra loro realmente imparentate partendo dalle più antiche, fino ad arrivare alle più moderne. Oggi, proprio come in occasione dei funerali di Alfonso IV, il visitatore entrando in chiesa viene accolto dall’aquila, simbolo imperiale ed estense insieme e dalle sante più conosciute e vicine temporalmente ai fatti del 1663. Procedendo lungo la navata l’immersione, a ritroso, nella storia porta fino a Santa Matilde, origine della credenza della santità ereditaria, la quale trova però fonte e legittimazione nelle Virtù Cardinali. In questo modo l’ingegno di Domenico Gamberti ha saputo innestare credenze medievali nel sistema iconologico da lui ideato al fine di legittimare Laura Martinozzi d’Este come duchessa reggente del ducato Estense.


  1. CAVICCHIOLI 2021, pp. 56-69. ↩︎
  2. GAMBERTI 1659. ↩︎
  3. GAMBERTI ASMO, ASE, Casa e Stato, f. 61, fasc. 2. ↩︎
  4. Ibidem. ↩︎
  5. CAVICCHIOLI 2021, pp. 93- 112 ↩︎
  6. Le traduzioni delle epigrafi delle otto sante sono di chi scrive. ↩︎
  7. BARTOLOMEI ROMAGNOLI 2013, pp. 25- 26. ↩︎
  8. DEGL’INNOCENTI 2001, p. 19. ↩︎
  9. VAUCHEZ 1999, p. 74, nota 11. ↩︎
  10. BLENKINSOPP 2006, pp. 100- 102. ↩︎

Bibliografia

BARTOLOMEI ROMAGNOLI 2013
A. Bartolomei Romagnoli, Santità e Mistica Femminile nel Medioevo, Spoleto 2013.

BLENKINSOPP 2006
J. Blenkinsopp, Ezechiele, Torino, 2006, pp. 100-102.

CAVICCHIOLI 2019
S. Cavicchioli (a cura di), L’ “Occidente degli eroi” il Pantheon degli Estensi in Sant’Agostino a Modena 174 (1662-1663) e la cultura barocca, Atti del convegno, Modena, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, 25-26 ottobre 2018, Modena 2019.

CAVICCHIOLI 2021
S. Cavicchioli, Le immagini e il potere. Nuovi documenti su Laura Martinozzi d’Este (1633- 1685), duchessa di Modena e nipote del cardinale Mazarino, in «Taccuini d’arte, Rivista di Arte e Storia del territorio di Modena e Reggio Emilia», 13, 2021, pp. 56-69.

DEGL’INNOCENTI 2001
A. Degl’Innocenti, Spose e madri nell’agiografia medievale, in Religione domestica, Verona 2001.

GAMBERTI 1659
D. Gamberti, Idea di un prencipe et eroe christiano in Francesco I d’Este di Modona, e Reggio Duca VIII. Generalissimo dell’Arme Reali di Francia in Italia, &c. effigiata co’ profili delle virtu da prencipi suoi maggiori ereditate rappresentata alla pubblica luce co’l funerale apparato sposto nelle solenni esequie dall’Altezza Serenissima di Alfonso IV. Suo primogenito alla gloriosa, ed immortale sua memoria l’anno M.DC.LIX. alli II. Di aprile in Modona celebrate. Composto, e di poi descritto, per ordine della medesima Altezza dal P. Domenico Gamberti della Compagnia di Giesù, Modena, Soliani, 1659.

GAMBERTI 1663
D. Gamberti, Succinta Relatione della pompa stabile e funerale per le solenni Esequie di Alfonso IV. Fatta, e poi descritta da Domenico Gamberti della Compagnia di Giesù, in Oratione funerale nelle solenni esequie di Alfonso IV, duca di Modena e Reggio. A’ 16 di Luglio l’Anno MDCLXII defunto, celebrate A’12 di Giugno MDCLXIII. Dall’Altezze Serenissime di Madama Laura sua consorte e del Serenissimo duca Francesco II suo figlio detta da Domenico Gamberti Della Compagnia di Gesù. Si aggiunge nel fine un succinto racconto della stabile e 165 funebre Pompa, colla erettione di un sontuoso Tempio, fatta e poi descritta per ordine delle sudette Altezze del Padre medesimo, Modena, Andrea Cassiani, con Licenza de’ Superiori, 1663.

GAMBERTI
D. Gamberti, L’Aquila Grande piena e varia di piume overo dovitia e varietà di attegnenze che la Serenissima Casa d’Este congiungono alle maggiori corti sante di Europa, ed Asia. Opera istorica e geneologica di N. N., Aquila Grandis magnarum alarum, longo membrorum ductu, plena plumis et varietate, Ezechiel. Cap. XVII. Vers. III., Primo Tomo Della Prima Parte, ASMo, ASE, Casa e Stato, f. 61, fasc. 2.

THIELLET 2004
C. Thiellet, Femmes, reines et santes: V-XI siecles, Parigi 2004.

VAUCHEZ 1999
A. Vauchez, Santi, profeti e visionari, Il soprannaturale nel Medioevo, Bologna 1999.

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